I carri ‘armati’ dell’imperatore Federico Barbarossa e il Carroccio dei comuni

Era il 1160, l’imperatore Federico Barbarossa aveva impiegato sette mesi per  conquistare la piccola città di Crema. Nel mese di giugno i milanesi  – per fermarlo – gli mandavano contro un corpo di spedizione all’avanguardia, nel quale figuravano un centinaio di carri corazzati e falcati, cioè muniti tutt’intorno di falci; pare che l’invenzione di questi protopanzer, si debba attribuire al solito mitico mastro Guitelmo.

Carri corazzati e falcati

Non è da escludere, visto che la Chronica Galvanica è successiva ai fatti, che su questi carri trovassero posto anche balestrieri, che al riparo delle sponde del carro potevano estendere l’efficacia delle falci. Il coordinamento di queste unità corazzate, tra loro e con le altre forze in campo ( cavalieri e fanti) , doveva richiedere un carro comando, che mediante segnali sonori e visivi, coordinasse le truppe.
Il carro comando null’altro è che il carroccio, un carro pesante tirato da buoi, munito di una campana e bandiere: due strumenti che erano serviti prima di allora ai monaci ed agli abati per raccogliere le rendite, quando giravano per i loro numerosi poderi.

Se prima veniva utilizzato per richiamare i sottoposti al dovere delle tasse, delle varie gabelle o alla cessione dei beni in natura (le decime), da Ariberto da Intimiano – vescovo di Milano – fu riadattato in un arnese da guerra, per richiamare gli uomini alle armi. Il vescovo fece erigere su di esso un altare, corredato da un’altissima antenna tinta di vermiglio, culminante in un globo dorato, tra due vessilli; a metà dell’asta era collocato un crocefisso benedicente le due piattaforme giustapposte al carro, una anteriore destinata ad accogliere un manipolo di soldati scelti, l’altra posteriore, dove trovavano posto otto trombettieri.
Fu usato con successo fin dal 1037 (contro le milizie imperiali di Corrado II) ed assunse presto la valenza di simbolo della libertà comunale mutuato , perciò, da città a città, ognuna delle quali volle apporre un proprio elemento identificativo, fosse esso un gonfalone comunale o l’immagine del santo patrono.

Era particolarmente diffuso tra le municipalità lombarde, toscane e, più in generale, dell’Italia settentrionale. In seguito il suo uso si propagò anche fuori dell’Italia. Era il simbolo delle autonomie comunali. In tempo di pace era custodito nella chiesa principale della città a cui apparteneva. Documenti del 1158 e del 1201 confermano la presenza del Carroccio di Milano, in tempo di pace, nella chiesa di San Giorgio al Palazzo. Nel primo documento citato sono contenute informazioni sulla necessità di realizzare uno scudo di ferro da collocare nel coro della chiesa, che si trovava nei pressi del Carroccio, con l’accensione di un fuoco votivo alimentato da una libbra d’olio.

Nel documento del 1201 è riportata un’informazione analoga: l’Arcivescovo e i religiosi della chiesa milanese di San Giorgio al Palazzo avrebbero dovuto accendere delle lampade votive intorno al Carroccio. (Tratta dal sito web ‘Medioevo)

Nelle due immagini il carroccio padovano.


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