Gli scaligeri a Monselice (1317-1338) di Federico Pigozzo

Can Grande della Scala

Il XIII sec. per Monselice si chiude con il concilio che l’arcivescovo Bonaventura tenne il 27 maggio 1289. Nonostante l’impero fosse ormai in crisi irreversibile, il partito ghibellino a Padova era ancora forte e si giunse a uno scontro alquanto feroce con i guelfi, tanto da costringere il vescovo a rifugiarsi nella città della Rocca. Nel concilio, dopo una scomunica contro la città di Padova, vennero abrogati gli statuti ghibellini e sanciti i patti di pace tra le due fazioni. Ma ormai l’istituto comunale stava tramontando e il Trecento vede l’affacciarsi sulla scena politica nuovi protagonisti particolarmente intraprendenti: le Signorie.
A Verona un paio d’anni dopo la sconfitta di Ezzelino è Cangrande della Scala ad impadronirsi del potere, esautorando le magistrature cittadine. A Padova Iacopo da Carrara nel 1318 subentra al comune nel controllo della città, così come i Visconti a Milano, gli Estensi a Ferrara e i Gonzaga a Mantova.
Il Trecento è un secolo di lotte accanite e Monselice viene a trovarsi al centro di continue operazioni militari con conseguenze pesanti per gli abitanti. La prima guerra che Monselice subisce in questo secolo è quella scatenata da Cangrande della Scala e continuata poi da Mastino II, i quali volevano estendere il loro dominio su larga parte dell’Italia settentrionale. Nel loro cammino tuttavia trovarono ad ostacolarli Firenze, i Visconti di Milano e soprattutto Venezia, che temeva di venire a trovarsi isolata sullo stretto lembo della laguna veneta. Gli scaligeri, nel loro progetti di conquistare Padova, tentano un primo attacco contro Monselice nel 1314, senza che questo abbia successo. La fortuna gli arrise nel 1317, quando, grazie al tradimento di un certo Maometto, riuscì a penetrare nella città e accingere d’assedio la Rocca nella quale s’era rifugiato l’allora podestà Bresciano de Buzzacarini. L’assedio non durò a lungo, infatti i Paltanieri convinsero il podestà a cedere la Rocca agli Scaligeri. Dopo Monselice venne il turno di Padova. A questo punto Venezia si intromette nella guerra, preoccupata per i disagi che procurava alla sua economia, e anche per il continuo espandersi della potenza scaligera. Nel febbraio del 1318 si giunge pertanto alla firma di un trattato di pace tra Padova e Verona, alla quale va una fetta consistente del territorio posti a sud di Padova. Ma era una pace molto debole, Padova veniva a trovarsi in una situazione alquanto precaria, persa la Rocca monselicense era esposta con facilità ad ogni attacco che le si muovesse.
Cangrande scatenò nuovamente le ostilità contro Padova e solo con il nuovo intervento di Venezia si concluse una nuova pace. I Veronesi continuarono a stringere d’assedio la città, ma nel 1320 in luglio subirono un rovescio da parte dei padovani al Bassanello, mettendoli in fuga. Le truppe dei da Carrara giunsero a cingere d’assedio Monselice, ma per timore di un ritorno dello Scaligero ritornarono a Padova, stipulando un terzo trattato di pace.
Quattro anni più tardi, nel giugno del 1324, sono i Padovani a prendere l’iniziativa attaccando i territori scaligeri arrivando fino a Monselice, ma senza riuscire a conquistarla. Nel 1234, morto Iacopo da Carrara, gli succede Marsilio II, che aveva ottenuto la protezione veneziana. Le ostilità durarono fino al 1328, quando Marsilio ridotto allo stremo delle forze cedette Padova. Marsilio accetto di rimanere con le funzioni di vicario del Cangrande, il quale morirà nel 1329.
Il successore Mastino della Scala, preoccupandosi delle possibili reazioni di Venezia, mandò Marsilio a negoziare con la città lagunare. In realtà il Carrarese negoziò per stesso. Ottenendo, infatti, che Venezia gli garantisse il possesso di Padova, Monselice, Este, Castelbaldo, Cittadella e Bassano, dandogli in cambio garanzie economiche e l’impegno di una alleanza difensiva. Nel 1336 la guerra tra Venezia e Verona, l’anno successivo Padova è riconquistata e si cinge d’assedio Monselice.
Nonostante i ripetuti attacchi condotti contro la città, gli assedianti non riuscivano a penetrare; le ferocie, da una parte e dall’altra si sprecavano. Ubertino da Carrara, succeduto nel frattempo a Marsilio II, visto che con i mezzi normali non riusciva a penetrare nella cinta muraria, ricorse al tradimento. Per mezzo di un tale Galmarella o Gallinarella riuscì a corrompere alcuni soldati della guarnigione. Il 27 novembre 1338 la Rocca cadeva e finalmente Padova riacquistava come suo territorio Monselice.
Con la pace di Venezia del 1339 si sancisce la sconfitta definitiva degli Scaligeri, il ritorno dei da Carrara a Padova (sotto l’influenza veneziana) e l’acquisto di alcuni territori della terraferma (Treviso e la Marca Trevisana) da parte Venezia.

 

L’AMMINISTRAZIONE SCALIGERA DEL DISTRETTO DI MONSELICE (1317-1338)

Federico Pigozzo

Tra la fine degli anni Venti e la fine degli anni Trenta del XIV secolo la signoria scaligera di Verona visse il suo periodo d’oro, costituendo un vasto dominio territoriale prima con Cangrande I e poi con i nipoti Mastino II e Alberto II: le città di Vicenza, Feltre, Belluno, Treviso, Padova, Brescia, Parma e Lucca costituirono le tappe di un’espansione territoriale che all’epoca ebbe pochi confronti. All’ampiezza delle dimensioni, tuttavia, fa da contrappunto la drammatica carenza di documentazione, dal momento che, come è noto, la mancata conservazione dei materiali archivistici coevi in quasi tutte le città coinvolte (con rare eccezioni come Treviso e Lucca), impedisce di indagare a fondo le strutture e i meccanismi del governo scaligero e consente solamente rari sondaggi nelle località più fortunate (1). Si offre ora la possibilità di svolgere un’indagine, non approfondita quanto si vorrebbe, ma comunque ricca di spunti, su Monselice, un centro minore dello stato territoriale scaligero, situato sul margine meridionale dei Colli Euganei, una ventina di chilometri a sud di Padova. Il destro è fornito dal riconoscimento, all’interno di una miscellanea di protocolli notarili padovani anonimi, di due fascicoli appartenenti a notai operanti a Monselice nei primi anni Trenta. Il primo fascicolo si compone di 67 carte contenenti atti misti del 1330-1331, un atto del 1333, due del 1336 e una serie di testamenti dettati durante l’assedio padovano del 1337-1338. L’autore Giovanni Solimani è menzionato in un frammento staccato di coperta in pergamena grossolana leggibile a fatica solo con l’ausilio della lampada di Wood: l’attribuzione è comunque sicura, perché il solo nome viene richiamato esplicitamente anche in un atto del maggio 1337. Il secondo fascicolo si compone di 66 carte con atti del biennio 1332-1333 rogati dal notaio Prosdocimo di Andrea, che si definisce magister nell’ottobre 1332 e che aveva la propria abitazione nella contrada Pozzo del Muro.

Monselice fu il primo dei popolosi centri del distretto padovano a finire nelle mani di Cangrande I della Scala, grazie ad un colpo di mano condotto nel dicembre del 1317 con l’aiuto di personaggi locali legati al partito filoimperiale. Le successive conquiste dei castelli di Montagnana ed Este aprirono a sud degli Euganei un fondamentale asse logistico per tutte le azioni offensive contro Padova stessa. Fino alla capitolazione di Padova, avvenuta nel 1328, il centro satellite di Monselice rimase staccato dal suo tradizionale capoluogo e dovette giocoforza provvedere a riorganizzare una propria autonoma struttura amministrativa. Gli effetti di questo adeguamento istituzionale rimasero validi anche dopo il 1328 e Monselice continuò a mantenere una sua indipendenza dalla città fino alla conquista di Ubertino da Carrara nel 1338.

1 G.M. Varanini, Pietro Dal Verme podestà scaligero di Treviso (1329-1336), in Istituzioni, società e potere nella Marca Trevigiana e Veronese (secoli XIII-XIV). Sulle traccie di G.B. Verci. Atti del convegno, (Treviso, 25-27 settembre 1986), a cura di G. Ortalli, M. Knapton, Roma 1988, p. 66.

 

Federico Pigozzo  per Archivio Veneto (sesta serie n.15(2018)  ha pubblicato uno studio sulla dominazione scaligera a Monselice

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