Quando i romani conquistarono Monselice (tra il 49 e il 42 a.C.)

LA  ROMANIZZAZIONE DEL MONSELICENSE

Dal III sec. a.C. il secolare equilibrio tra Galli e Veneti pare rompersi tanto da rendere necessario l’intervento di un’autorità esterna, Roma, che decreterà la fine dell’autonomia culturale e politica del Veneto preromano e l’inizio di una nuova fase storica. Tale intervento è testimoniato da tre cippi rinvenuti a Galzignano, sul Monte Venda e a Teolo il cui testo ricorda l’opera di arbitrato svolta nel 141 a.C. dal proconsole Lucio Cecilio Metello Calvo intervenuto, su delibera del senato di Roma, per risolvere un contenzioso confinario tra Este e Padova. Due di tali cippi sono conservati nella VI sala del Museo Nazionale  Atestino mentre il terzo si trova al Museo Civico di Padova. In seguito a tale demarcazione territoriale si definirono lecompetenze di Padova sul bacino termale di Abano-Montegrotto e sulle pendici settentrionali dei Colli Euganei (Bastia e Rovolon) e quelle di Este sulla zona di Lozzo Atestino, Baone, Arquà Petrarca fino a Monselice. Questo processo di romanizzazione, completatosi nella prima metà del I sec. a.C., fu lento e graduale come si deduce da alcune evidenze archeologiche ed epigrafiche rintracciate, tra l’altro, anche sul Monte Ricco dove un sepolcreto a cremazione databile tra il II-I sec. a.C. ha restituito corredi funerari in cui compaiono elementi venetico – celtici e romani.

L’arrivo dei romani, dal punto di vista formale,  è documentato con l’iscrizione di Ateste, tra il 49 e il 42 a.C., alla tribù Romilia e con la deduzione di una colonia di veterani dopo la battaglia di Azio del 31 a.C. Alcuni documenti epigrafici suggeriscono l’appartenenza all’agro di Ateste del territorio di Monselice  ma non sappiamo se qui vi fosse, all’epoca, un nucleo abitato e quale configurazione giuridica esso avesse, ovvero se la presenza antropica assumesse le caratteristiche di un insediamento sparso di tipo rustico. Gli studiosi tuttavia  non escludono per Monselice uno stato di  vicus (villaggio) di qualche importanza in ragione della presenza, attorno alla cittadina, di sepolcreti  con monumenti rilevanti, di toponimi come “Capo di Vico”, “Vico da Pozzo” e soprattutto  della sua posizione topografica e della funzione di snodo che acquisì in rapporto al percorso della prima grande strada di collegamento con il settore nord orientale dell’Italia  tracciata originariamente dal console Marco Emilio Lepido (175 a.C.) e stesa tra Bologna ed Aquileia.

LE STRADE ROMANE

Ricordata dall’Itinerario Antonino del III sec. d.C., la cosiddetta Aemilia-Altinate  passava per Modena, Este, Padova, Altino e Concordia svolgendo un ruolo fondamentale di impulso allo sviluppo e al fiorire dei centri che sorgevano sulla sua direttrice. Il percorso tra Este e Padova, pari a 25 miglia (ca.37 km), è stato ricostruito dall’uscita da Padova per Mandria, Abano, Montegrotto, Monselice, Marendole e Motta fino ad Este. 

Altre strade minori percorrevano i Colli Euganei, raccordandosi a questa importante arteria: lo testimonierebbero, ad esempio, un cippo miliare rinvenuto ad Arquà Petrarca (oggi visibile nel sagrato della chiesa parrocchiale), che reca l’indicazione della distanza di sette miglia, probabilmente trasportato qui dalla via Padova – Este o posto su una via che collegava Este ad Arquà Petrarca. Ora, questa naturale “vocazione” di collegamento territoriale del sito di Monselice viene ribadita, tra l’altro, anche da un’iscrizione frammentaria, ancor oggi reimpiegata presso la piccola apertura d’accesso alla Torre della Rocca e attestante suggestivamente la stesura o la manutenzione di una strada:…viam str[avit] da parte di un personaggio di cui non si conosce il nome (per il cattivo stato di conservazione della prima riga) e dal cospicuo numero di stele funerarie che il territorio ha restituito che, come noto, si collocavano ai lati delle strade.

Certamente i Romani sfruttarono anche un’altra importante risorsa economica della zona: la trachite euganea, soggetta ad un’intensa e lucrosa attività di cava che interessò la Rocca al pari di altri colli. I Romani dovettero potenziare la rete stradale intorno alla Rocca, creando diversi tracciati di collegamento con la antica grande via consolare, proveniente da Bologna ed Este, diretta a Padova e poi ad Aquileia. Probabilmente ad una strada che lambiva la Rocca lungo il suo versante occidentale sono da collegare un piccolo sepolcreto romano da tombe ad incinerazione, individuato nell’area dei Tre Scalini, e forse alcuni monumenti funerari di vecchio rinvenimento. Degli insediamenti rurali di allora restano oggi solo pochi siti, costituiti da affioramenti in superficie di reperti archeologici portati alla luce dai lavori agricoli specialmente in località Vetta e Azerdimezzo. La maggior parte delle testimonianze archeologiche di epoca romana sono concentrate tra la fine del I sec. a.C. e il II sec. d.C. mentre a partire dal III sec. d.C. si riscontra  un generalizzato periodo di decadenza dovuto alla nota crisi economica che investì il mondo romano.

 

SCAVI DI VIA VETTA

Nella Primavera del 2001 in occasione dei lavori al canale Desturo hanno portato alla scoperta in località Vetta di una vasta zona di frequentazione rurale che va dal neolitico all’età romana. In quei luoghi infatti erano emersi numerosi reperti di età romana  che fanno supporre l’esistenza in quella località di un insediamento romano di vaste proporzioni. In particolare gli scavi hanno portato alla scoperta di 2 insediamenti di età neo-eneolitica, 3 insediamenti dell’età del bronzo, 3 insediamenti dell’età del ferro, 6 complessi rustici di età romana, 2 aree di necropoli di età romana. Alcuni dei siti sono stati solo sondati, altri sono stati indagati in  maniera estensiva.

 

Tutti sono stati oggetto di schedatura, di documentazione grafica e fotografica.  reperti di questi scavi, di grande interesse storico e talora anche di pregio, rappresentano una significativa campionatura dell’evoluzione della frequentazione umana nella pianura a Sud di Monselice, della quale potranno offrire un quadro completo ed articolato. Analoghi insediamenti rurali esistevano con tutta probabilità anche arzerdimezzo. Possiamo supporre che i terreni di via vetta avessero un efficiente sistema di deflusso delle acque tanto da agevolare la coltivazione dei terreni. La presenza di canale (Il Desturo) metteva in comunicazione quei luoghi con le cave di trachite di Monselice e le principali vie di comunicazione romane.

 

Nella foto è riprodotta  una fattoria romana ricostruita da quello che rimaneva delle fondamenta. Aveva solide mura con sassi di trachite e copertura fatta di tegole

 

 

 

STORIA DEL LAPIDARIO DI MONSELICE

Nel 1858  l’abate Francesco Sartori nel suo libro ‘Fra Gontarino’ informa che il “Gabinetto di Lettura” si arricchiva di qualche lapide, alcuni dipinti e qualche medaglia di scarso valore, ma sufficiente per dare il nome di “museo” all’improvvisata raccolta. Nel 1867 il Gabinetto di Lettura veniva  trasferito nel restaurato ex palazzo Pretorio e  al pianterreno furono sistemate le lapidi e gli oggetti antichi che nel frattempo stavano venendo alla luce nelle campagne circostanti, grazie all’uso di macchine agricole che aravano il terreno in profondità o dal restauro delle chiese antiche costruite riutilizzando materiali di epoca antica. La raccolta civica rimase lì fino al 1917. Nel maggio 1921 la Giunta comunale spostò il lapidario nella sala d’ingresso delle scuole  Vittorio Emanuele II di Monselice. Ma nel 1980, con l’inizio dei lavori di ristrutturazione della scuola, tutto il materiale fu accatastato presso il castello di Monselice.

Nei anni successivi una rinnovata sensibilità culturale favoriva il progetto di valorizzazione dei beni culturali monselicensi che si concretizzava  in una nuova catalogazione ed inventariazione di tutti i reperti d’epoca romana.  Il progetto si avvalse della collaborazione del prof. Enrico Zerbinati e di altri esperti locali. Dopo due anni di lavoro, svolto sotto la sapiente guida della soprintendenza, tutto il materiale archeologico veniva recuperato e studiato dalla dott. Cinzia Tagliaferro. Contemporaneamente iniziarono anche le operazioni di restauro delle lapidi più rovinate. Mentre l’architetto Massimo Trevisan veniva incaricato dell’allestimento museale. Una prima ipotesi è stata presentata al pubblico domenica 9 ottobre 1994 presso l’ex chiesetta del Carmine, ottenendo ampi consensi. Nel 1998 tutto il materiale antico  fu adeguatamente sistemato in una sala di Villa Pisani. Nel 2012 è stato  sistemato in San Paolo a disposizione dei visitatori.

Tra i reperti  esposti  troviamo: quattro stele  funerarie, un elemento di altare votivo, 5 termini funerari e un pezzo di monumento funebre che ci permettono di documentare la presenza a Monselice di coloni e soldati romani dal I sec. a.C. al II d.C. Negli anni successivi furono organizzate numerose visite guidate e specifici laboratori di archeologia per le scuole al fine di promuovere l’importante raccolta civica presso le giovani generazioni. Nel 2002 fu stampata la prima guida dal titolo “Monselice romana”, a cura di Flaviano Rossetto. Parte del materiale è esposto nel museo di San Paolo, altri reperti sono conservati  in sei luoghi diversi e precisamente: Pieve di santa Giustina, Castello di Monselice, Museo di Este, Museo di Padova, Museo di Verona e Firenze e museo di Vienna (vedi pagine in questo  stesso sito.)


Ulteriori informazioni  sulle indagini archeologiche sono contenuti  nell’opuscolo ‘Monselice romana’ a cura di Flaviano Rossetto. Qui in formato PDF    Opuscolo ‘Monselice romana’ [qui…] . Fondamentali rimangono gli studi pubblicati nel libro di Antonio Rigon, Monselice. Storia, cultura e arte di un centro “minore” del Veneto, Monselice, 1994

 


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