Frate Gontarino guida la sommossa contro Ezzelino nel 1256-’57

Fra Gontarino da uno schizzo del Cocchi

Fu un religioso il principale protagonista dell’insurrezione antiezzeliniana che si verificò a Monselice tra gli ultimi mesi del 1256 e l’inizio del 1257. Alla guida dei rivoltosi c’era infatti Gontarino, frate del convento benedettino di San Salvaro (oggi agenzia Trieste in Via Vetta). Non abbiamo notizie dirette, ma diverse testimonianze ci aiutano a ricostruire il suo intervento contro Ezzelino. Sappiamo che quelli attorno alla metà del Duecento erano anni turbolenti. Ezzelino III da Romano nel 1249 aveva occupato con un astuto stratagemma Monselice. Pochi mesi più tardi, però, aveva perso il maggiore alleato, l’imperatore Federico II, morto improvvisamente. I suoi nemici allora ripresero vigore: primo fra tutti il papa Alessandro IV, che nel 1254 lo scomunicò e nel 1256 indisse una “crociata” contro di lui.

All’offensiva contro Ezzelino parteciparono il marchese Azzo VII d’Este, podestà di Ferrara, Venezia, Bologna, Mantova, il conte di San Bonifacio e diversi altri signori del tempo. A inizio giugno 1256 le loro truppe occuparono i castelli di Brenta e Correzzola. Ezzelino, impegnato a Mantova, affidò inutilmente al suo vicario Ansedisio il compito di difendere Padova. Sembra che il tiranno, accampato sul Mincio, ritenesse la città in grado di reggere l’urto del nemico. Al punto da non credere al primo messaggero che gli riferì della sconfitta e condannarlo all’impiccagione. Invece dopo la presa di Piove di Sacco, il 20 giugno di quell’anno anche Padova cadde nelle mani delle forze antiezzeliniane, che si abbandonarono al saccheggio per otto giorni.

La notizia della liberazione di Padova dalla tirannia di Ezzelino si diffuse velocemente in tutto il territorio circostante. In breve anche Cittadella si sollevò. Poi fu la volta di Monselice, sobillata da Fra Gontarino. A quanto sembra, il religioso radunò la folla nei pressi di porta San Marco, in corrispondenza di un capitello. Lì infiammò gli animi dei presenti: incitò tutti ad armarsi di forche e bastoni per porre fine alla dominazione di Ezzelino, uomo malvagio e senza Dio. Pronunciate quelle parole, si mise personalmente a capo dei ribelli e li condusse contro i soldati che il tiranno aveva lasciato a presidio della città.

Allo scoppio dei tumulti il capitano Profeta, responsabile della Rocca, decise subito di riparare  nel Torrione. I rivoltosi di Gontarino si impadronirono della zona inferiore di Monselice dichiarando solennemente che appartenevano alla fazione della Chiesa e che avevano come principale nemico Ezzelino e chiunque lo sostenesse. Furono quindi raggiunti dall’esercito di Azzo d’Este. Profeta, vista la situazione, si accordò per arrendersi, ricevendo in cambio la somma di mille lire e la promessa delle rendite annuali dei mulini di Bagnarolo. Il tiranno non aveva potuto inviare aiuti: anche Monselice era persa.

Nell’orto del monastero di San Salvaro una volta c’era una lapide dedicata al monaco patavino Gontarino e alla sua valorosa impresa. L’iscrizione latina riconosceva i meriti del frate, che aveva condotto l’insurrezione contro un grande nemico della Chiesa, contribuendo in modo decisivo a sottrarre Monselice dall’egemonia di Ezzelino. A questo personaggio si ispirò anche un romanzo dell’abate Francesco Sartori. Carturan scrive inoltre che dopo la Seconda Guerra Mondiale aveva proposto al comitato di Liberazione di intestare al religioso una strada, senza però ricevere riscontri positivi.

Le informazioni qui riportate, relative a uno dei più curiosi capitoli delle vicende che interessarono la città della Rocca in epoca medievale, sono tratte principalmente dalla Storia di Monselice di Celso Carturan.

 


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