Monselice scaligera 1317 e il terribile assedio dei Carraresi (1337-1338)

Contesto storico. Nel corso del Trecento Monselice fu a lungo contesa tra Padovani e Veronesi, impegnati in un continuo e aspro scontro. Essa si trovava infatti in una posizione di crocevia tra territori diversi e rappresentava un nodo fondamentale per l’egemonia di un’ampia area. Il 21 dicembre 1317, dopo che un primo assalto era fallito nel 1314, la cittadina cadde sotto il dominio scaligero. Cangrande I della Scala occupò Monselice per il comportamento del podestà padovano Bresciano Buzzacarini, accusato di infamia dal cronista Albertino Mussato, e probabilmente grazie al sostegno di alcune famiglie aristocratiche locali legate alla fazione ghibellina, come i Paltanieri.

La conquista ebbe una certa risonanza, in quanto rivestiva un certo peso nel percorso di espansione veronese in Veneto: la nuova base militare che gli Scaligeri si erano assicurati permetteva di attaccare rapidamente Padova, per poi volgere verso Treviso e riversarsi sulla Saccisica e sul Conselvano, senza perdere di vista la linea dell’Adige (Legnago, Castelbaldo, Montagnana, Ponte della torre di Este). Monselice per circa vent’anni fu quindi inclusa nella signoria di Cangrande I, Mastino e Alberto Della Scala. In questo arco di tempo conobbe fasi di scontro armato (nel 1320, ad esempio, Cangrande in persona dovette riparare in fretta e furia all’interno della cittadina, incalzato dai Carraresi) e fasi di tregua, che rendevano possibile la riapertura delle vie di comunicazione e la ripresa dell’economia: ecco allora che le campagne, prima interessate dalle devastazioni messe in atto dagli eserciti, tornavano a produrre, e si riavviavano i traffici commerciali verso Padova e Venezia.

I Veronesi reggevano Monselice tramite i funzionari che inviavano: nel 1332 erano in carica il podestà Bonifacio da Poiana, membro di una famiglia consorte dei Paltanieri, e il capitano Pietro da Imola, alla guida della guarnigione locale. A questo periodo risale forse il sigillo monselicense trecentesco, che esprimeva anche una forma di orgoglio municipale e probabilmente una velata rivendicazione di autonomia contro Padova, l’antico comune dominante. Gli Scaligeri attribuivano alla cittadina euganea un ruolo rilevante. Il 17 giugno 1329 Cangrande ordinò al capitolo della chiesa maggiore di Santa Giustina di eleggere come arciprete Bertolino da Mantova, cappellano del duomo di Verona e suo protetto.

Nel 1332 Monselice dovette fare i conti con una quota di imposta straordinaria di 250 lire, pari a quella assegnata a Bassano, che tuttavia aveva un territorio più vasto. Ampia inoltre fu l’attività di costruzione di fortificazioni, sebbene si concretizzasse in interventi provvisori e legati prevalentemente alle immediate esigenze belliche: in occasione dei vari attacchi videro la luce fosse, terrapieni, torri di legno, realizzati sfruttando il duro lavoro dei contadini che abitavano nei villaggi circostanti.

Un estenuante assedio. I venti di guerra ricominciarono a soffiare con ferocia su Monselice tra 1337 e 1338 quando Marsilio e Ubertino da Carrara, signori di Padova, giunsero in forze all’ombra della Rocca. Si era infatti costituita una coalizione antiveronese che comprendeva anche Venezia e Firenze. Ebbe così inizio un difficile e sanguinoso assedio che si protrasse per un anno e mezzo. Numerosi gli strumenti bellici che vennero messi in campo per l’occasione: ponti e torri d’assalto, scale, macchine da getto, ma soprattutto “vigne” e “gatti”, ovvero tettoie mobili a forma di testuggine che permettevano di avvicinarsi alle mura rimanendo al riparo. Nonostante l’imponente spiegamento, i Padovani ottennero scarsi risultati.

In compenso non mancarono episodi particolarmente cruenti, da una parte come dall’altra. Nell’agosto 1337 due uomini dei Carraresi si introdussero all’interno di Monselice per aprire le porte alle forze assedianti: furono scoperti e giustiziati. I padovani risposero con sette veronesi impiccati in bella mostra proprio in prossimità degli ingressi cittadini. Era anche una logorante guerra di nervi: in entrambi gli schieramenti il minimo sospetto di tradimento veniva punito con la prigione, la frusta o la morte. Chiunque avesse voluto uscire o entrare nella città era subito strozzato, accecato o mutilato. Marsilio era determinato a conquistare Monselice per fame e la strinse in una morsa micidiale. Nel 1338 ci furono tentativi di tradimento sventati, a cui seguirono esecuzioni e rappresaglie.

I Carraresi catturarono tre messaggeri inviati dal capitano monselicense Pietro Dal Verme a chiedere soccorsi: da loro Ubertino, il nuovo signore succeduto a Marsilio, seppe che gli assediati erano in difficoltà e decise di intensificare gli sforzi per chiudere la partita. Il 19 agosto 1338, dopo aver atteso invano i rifornimenti da Mastino della Scala, i mercenari scaligeri consegnarono ‘la terra e il borgo’ ai nemici in cambio di ottomila fiorini. Ma dentro le mura della Rocca restavano ancora parecchi difensori agli ordini del capitano d’arme Fiorino da Lucca che dalla loro posizione privilegiata facevano funzionare le balestre a pieno regime, bombardando gli avversari con pietre e materiale incendiario. Per riuscire a vincere la resistenza degli indomabili avversari, si narra che Ubertino fece arrivare da Venezia una nuova grande macchina bellica: con questa intendeva colpire più da vicino la sommità del colle.

Non ci furono però i progressi sperati e Fiorino si ostinava a non volersi arrendere. Lo stallo fu superato il 28 novembre attraverso un tradimento: i padovani pagarono 600 fiorini ai compagni del valoroso comandante perché glielo consegnassero. Così accadde: il capitano, fatto prigioniero, venne impiccato e Monselice passò sotto l’egemonia dei Carraresi. L’episodio riportò in vita un vecchio detto, secondo cui ‘non esiste alcun forte castello in cima al quale non possa salire un asino carico d’oro’. La riconquista della cittadina fu molto festeggiata a Padova, dove venne addirittura istituita una processione solenne in onore di San Ludovico D’Angiò per celebrare l’evento.

Le informazioni qui riportate sono tratte principalmente da Monselice – La Rocca, il Castello – Dalla fondazione “Giorgio Cini” alla Regione Veneto (Biblos 2003), volume a cura di Aldo Businaro: abbiamo fatto riferimento, in particolare, al contributo del professor Sante Bortolami dedicato a Monselice medioevale e le sue difese. La città murata, il castello, la Rocca. Ci siamo poi basati su L’epoca delle signorie: Scaligeri e Carraresi (1317-1405), lavoro di Donato Gallo presente in Monselice – Storia, cultura e arte di un centro “minore” del Veneto a cura di Antonio Rigon (Comune di Monselice, Canova, 1994). Un altro testo interessante sull’argomento è lo studio di Federico Pigozzo sulla dominazione scaligera a Monselice, Gli scaligeri a Monselice (1317-1338), per Archivio Veneto (sesta serie n. 15, 2018).

 


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