Monselice 1939. I grandi lavori di Vittorio Cini

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Cap. III

ANNO 1939.  I GRANDI LAVORI  DI  VITTORIO CINI

fa parte del libro

Monselice nella seconda guerra mondiale. Storie di soldati di donne e di partigiani dalla monarchia alla repubblica, disponibile in formato PDF  [clicca qui…]

 

 


Il nuovo anno di guerra si apriva a Monselice con l’annuncio che le famiglie Pietrogiovanna e Moretto avevano vinto il concorso per il miglior presepe monselicense. Tra i buoni propositi d’inizio anno significativo fu quello della levatrice Anna Nerzi in Gialain la quale assicurò i gerarchi che si sarebbe messa in regola con le disposizioni che prevedevano per i dipendenti comunali l’adesione obbligatoria al partito fascista. La Nervi non voleva saperne e da mesi rifiutava la tessera fascista. Inutilmente la segretaria del Fascio femminile Lea Tassoni Ravaglia informava le autorità “che la suddetta levatrice non fa più parte della nostra organizzazione essendosi rifiutata al pagamento delle tessere degli anni 1936 e 1937; stando così le cose, dovrò diffidarla alla Fiduciaria Provinciale dei Fasci femminili”, concludeva sconsolata. Il podestà interveniva rassicurando la Tassoni e precisando di  aver “richiamato nuovamente la levatrice Nerzi al suo dovere di fascista, avendone avuto nuova promessa di adempimento”. Purtroppo, non sappiamo come andò a finire, ma viste le premesse.

Il Cini e la rinascita del centro cittadino

Il 1939 viene ricordato per i grandi lavori di sistemazione del centro cittadino, fortemente voluti dal conte Vittorio Cini. Il “Gazzettino” del 9 febbraio 1939 titola:

 << Monselice si rinnova. Iniziano i lavori del castello e del monte di pietà, sotto la guida dell’architetto Aldo Scolari e per la magnificenza delle cose scelte dall’ing. Nino Barbantini. La nuova Monselice sta per sorgere. Il piccone ha iniziato decisamente la sua opera di demolizione nel centro. La sala Garibaldi e la vecchia sede del Gabinetto di Lettura stanno per scomparire. L’ufficio postale e telegrafico troveranno posto presso l’ex monte di pietà. E apparirà così in tutta la sua incomparabile bellezza, la massiccia e meravigliosa mole del castello. Verrà pure demolito l’attuale palazzo municipale, che sarà ricostruito in uno stile adeguato al luogo e ci sarà l’apertura di una nuova e decorosa chiesa, viste le ormai imprescindibili esigenze del culto >>.

 

Il verbale della consulta comunale del 21 aprile 1939 contiene un vero e proprio elogio al conte Cini, sicuramente frutto dell’ammirazione personale del Mazzarolli che in ogni circostanza tesseva le sue lodi. La Consulta approvò – dice testualmente – la proposta del podestà di conferire la cittadinanza onoraria a S.E. il senatore Vittorio Cini, “in segno di riconoscenza per il molto bene che ha fatto e sta facendo al nostro comune”. Tra le azioni umanitarie del conte il podestà ne ricordò alcune. Ne diamo conto molto brevemente: la fondazione di una colonia (ora Solario) che ospitò oltre 100 bambini – provenienti per la maggior parte da famiglie contadine locali – ai quali venne insegnato il lavoro agricolo nel nuovo edificio, costruito ai piedi del Montericco o nella fattoria di 5 ettari di terreno con relativa casa colonica; la distribuzione giornaliera, durante la stagione invernale, di 170 razioni di viveri ai più poveri; l’acquisto e il restauro del castello; l’elargizione di 400.000 £. al comune affinché potesse concorrere nell’abbellimento del centro cittadino con l’abbattimento di vecchi edifici e la costruzione della nuova residenza municipale.

Grazie alle sue offerte economiche – commentava il Mazzarolli – e all’oculata amministrazione del bilancio, “si stanno realizzando un complesso di opere pubbliche veramente eccezionale”, venendo incontro pure anche alle esigenze del clero che chiedeva di tornare a rendere officiabile l’ex chiesa di S. Stefano, allora utilizzata come magazzino comunale.

Vale la pena di aggiungere che grazie all’interessamento del Cini la campana in bronzo della torre civica fu esclusa dalla fusione, in “considerazione del suo notevole pregio storico”, precisò il 30 marzo 1941 il dott. Lazzari, direttore generale delle “Belle Arti” in una missiva al conte. Per motivi bellici tutte le altre campane furono requisite, destinate a  realizzare nuovi cannoni recuperando il bronzo.

In verità il Cini ottenne, in cambio dei generosi contributi concessi al comune, l’abbattimento dell’ex palazzo pretorio che nascondeva il suo castello e la proprietà del “terreno su cui insistevano le costruzioni demolite, quale atto di riconoscenza verso di lui per tutte le benemerenze, per le molte opere di bene che ha fatto e va facendo a pro di Monselice.”

L’ambizioso programma di abbellimento del centro cittadino fu presentato dal Mazzarolli nel mese di maggio 1939. Ecco la cronaca dell’avvenimento tratta dai giornali. Salutato “da un caloroso applauso” il gerarca presentò la sua proposta di opere pubbliche per una spesa complessiva di un milione e 950 mila lire. Sinteticamente i progetti del Mazzarolli riguardavano: la sistemazione dei marciapiedi nel centro cittadino e il completamento del viale del Re (ora via della Repubblica); la costruzione, in via San Filippo di un nuovo magazzino per i vigili del fuoco e l’edificazione di un lotto di case per dipendenti comunali; la costruzione in via San Stefano Superiore di una scuola secondaria d’avviamento commerciale (il progetto fu approvato l’8 luglio, su interessamento di S.E. Bottai, Ministro dell’Educazione nazionale, in visita a Monselice il 4 dicembre 1938); l’abbattimento della residenza comunale situata davanti alla chiesa di San Paolo e la costruzione di una nuova in piazza San Marco; la costruzione di un mercato coperto e di un’esedra in cimitero, con chiesa centrale e ossario per i caduti in guerra; l’acquisto e demolizione della casa addossata alla civica torre, dal lato di ponente, per isolare la torre e consentire all’allargamento delle vie Dante e Zanellato.

Concludendo la relazione l’ing. Mazzarolli illustrò il modo in cui intendeva provvedere al finanziamento della spesa, senza contrarre mutui e senza inasprire la pressione fiscale. << La chiara esposizione durò oltre un’ora ed è stata sempre seguita con la massima attenzione e spesso fu anche sottolineata da calorosi applausi >>, precisò il solerte giornalista del “Gazzettino”.

Ma non era tutto oro quello che veniva presentato, con l’abbattimento dell’ex palazzo pretorio, il Gabinetto di lettura perdeva sala Garibaldi, la sede dell’istituzione culturale monselicense. La notizia fu comunicata ai soci il 25 febbraio in una specifica riunione durante la quale si discusse sul futuro del sodalizio, vivo da ben 72 anni. Il Mazzarolli fece notare che di fatto, già da alcuni anni, il Gabinetto veniva meno ai suoi scopi specie “quello culturale e ricreativo, realizzati dagli istituti culturali del regime”. Alle proteste dei soci, il podestà precisò che avrebbero potuto utilizzare un’altra sala comunale, mentre i non soci avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione al comune e pagare 3 lire al mese.

 

Inaugurazione del solario 1936

 

 

Le grandi celebrazioni fasciste

Il regime fascista organizzava in tutti i comuni italiani grandi manifestazioni pubbliche per sottolineare gli avvenimenti più importanti della ‘rivoluzione’ fascista. Anche a Monselice le celebrazione realizzate nel 1939 furono moltissime, non possiamo darne conto in modo completo, ma solo accennare alle più rilevanti. Ad esempio, nei primi giorni del nuovo anno furono organizzate ben quattro grandi cerimonie pubbliche di sostegno al regime. Il 23 gennaio per le nozze di S.A.R. Principessa Maria di Savoia “tutti gli edifici pubblici furono imbandierati e la sera illuminati, mentre gli uffici funzionarono con orario ridotto e nelle scuole si fece vacanza”. Il 28 gennaio il popolo monselicense era in festa “per aver appreso con somma gioia la notizia della presa di Barcellona da parte delle truppe del generale Franco”. Il 1° febbraio “ricorrendo l’annuale fondazione della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, gli edifici pubblici erano di nuovo imbandierati e a sera illuminati”, su disposizione dello zelante prefetto Celi. Lo stesso cerimoniale si ripeteva per l’11 febbraio in occasione dell’anniversario della stipulazione del Concordato con la Santa Sede.

 

Le famiglie numerose si organizzano

Il 3 febbraio 1939 si costituisce ufficialmente l’associazione delle famiglie numerose. Responsabile venne designato, ovviamente, il vice segretario del comune Antonio Valerio, padre di ben otto figli. Non mancarono neppure i sostegni ai dipendenti comunali che si impegnavano nelle varie attività del partito. Il 22 marzo, ad esempio, il podestà deliberò di corrispondere al nuovo ingegnere comunale Diego Carturan e al cursore Augusto Sofia una gratificazione di £ 2.000 ciascuno, giustificandola per la loro qualifica di “squadristi”.

  

La morte di Pio XI

Il 10 febbraio 1939 moriva il papa Pio XI. Mons. Gnata celebrò il solenne pontificale di rito nel Duomo alla presenza dei responsabili del partito fascista a Monselice: il podestà Annibale Mazzarolli, il segretario del Fascio Giorgio Rebecchi, l’avv. Agostino Soldà, il comm. Antonio Sgaravatti, il cav. Benedetto Bisetti, il segretario del comune Francesco Dal Bosco, il cav. Angelo Schiesari, il cav. Giuseppe Carteri, la sig.ra Cesira Dainese, il prof. Cesare Fregan, il vice segretario comunale Antonio Valerio e la segretaria del Fascio femminile Lidia Morra. Il 3 marzo per l’elezione del cardinale Pacelli al soglio pontificale si ebbe anche a Monselice “massima commozione e devozione” e nuove funzioni religiose.

Maggiori emozioni si registrarono però il 28 marzo quando arrivò la notizia dell’ingresso a Madrid delle truppe del generale Franco. “Monselice fascista era tutta pavesata di tricolori, per festeggiare la conquista della Spagna”, titolavano i giornali.

 

L’invasione dell’Albania e il Patto d’acciaio tra Italia e Germania

Il 7 aprile le truppe italiane invadevano l’Albania in conseguenza dell’oc­cupazione tedesca dell’Austria, Boemia e Moldavia. Il 10 aprile arrivarono a Monselice i primi sfollati italiani dai territori confinanti con la Jugoslavia e la Francia. Erano famiglie con bambini piccoli che fuggivano dai loro paesi nel timore che diventassero zone di guerra.

L’alleanza tra l’Italia e Germania veniva ribadita durante la visita di Hitler all’Italia avvenuta nei primi giorni di maggio 1939 e sancita ufficialmente con la firma a Berlino del Patto di Acciaio (22 maggio), con il quale i due paesi promettevano aiuto reciproco nel caso uno dei due si trovasse coinvolto in una guerra. Data la sproporzione di forze tra i due paesi, l’Italia si impegnava di fatto a seguire qualsiasi iniziativa tedesca, rinunciando ad una politica estera autonoma.

 

I muli al fronte

Le esigenze militari si fecero sentire subito. Un fonogramma proveniente, il 10 aprile 1939, dal  distretto militare di Padova ordinò al segretario comunale di  “andare a vedere sul registro del Comune quanti muli non erano ancora stati precettati” e dispose che fossero i carabinieri a controllare affinché tutte le bestie venissero portate davanti al commissario per  requisirle. Un veloce e accurato controllo trovò ben 28 muli e precisamente: Bassani Aldo di Monticelli proprietario del mulo “Stella”; Bottaro Antonio di Marendole (mula “Bisa”); Amministrazione Breda Amalia di Marendole aveva due muli, “Bepi” e “Cici”; Bussolin Luigi in via Moralediemo (mulo “Ciccio”); Favaro Pietro della Stortola (mula “Cina”); Fiocco Carlo di Marendole (mula “Marianna”); Franciosi Giobatta residente in via Savellon Retratto (mula Gina); Giora Ferdinando abitante in via Isola verso Monte (mula “Drea”); Goldin Angelo abitante in via Carpanedo ( mula “Olga”); Goldin  Pietro con abitazione in via Granzette 191 (mule “Roma” e “Pina”); Goldin Pietro residente a Marendole (mulo “Roma”); Masiero Narciso di Marendole 72 (mula “Stella”); Murno Angelo residente a Costa Calcinara (mulo “Bellavista”); Racconci Giovanni di San Bortolo 157 (mulo “Nina”); Raise Ermenegildo anch’esso residente a San Bortolo (mulo “Nino”); Salmistraro Mansueto della Stortola (mulo “Libia”); Simone Angelo (mulo “Mario”); Sturaro Augusto residente a Ca’ Oddo (mulo “Bepi”); Tinello Napoleone della Stortola (mula “Mula”); Toniolo Giuseppe di San Bortolo (mulo “Nina”), F.lli Trieste (muli “Armando” e “Giacomo”), Zodia Alessandra di via Piave (mula “Linda”), Bernardini Giovanni (mulo “Picio”), Gusella Attilio (mulo “Giorgio”), Rocca Ermenegildo (muli “Grado” e “Vittoria”), Gusella Attilio (mulo “Bellina”) e Baveo Ottavio (mula “Salandia”).

Naturalmente in breve tempo tutti gli animali furono inviati ai vari reparti dell’esercito, in attesa di partire per il fronte.

 

Passa il giro d’Italia

L’11 maggio transitava per Monselice, arrivando da Este e diretto a Battaglia Terme, il 27° giro ciclistico d’Italia. Poco prima il podestà deliberò di intitolare al nome del grande italiano ed insigne scienziato Guglielmo Marconi il nuovo viale, della lunghezza di 800 metri, che gira attorno al colle della Rocca per arrivare fin quasi l’ospedale civile.

Campo di tiro al Solario

 

L’uccisione della guardia notturna Luigi Pizzeghello

Nella notte tra il 4 e il 5 agosto, in via San Martino, veniva uccisa la guardia notturna Luigi Pizzeghello. Le indagini accertarono che l’omicidio era stato compiuto da ignoti mentre tentavano di penetrare nella canonica della chiesa di San Martino. I ladri, scoperti da alcune persone, si sarebbero nascosti lungo via San Martino dove sarebbero stati affrontati dal Pizzeghello. Compiuto il misfatto gli assassini riuscirono a dileguarsi in macchina. La guardia lasciava la vedova e tre figli minori. Il 18 agosto il comune deliberò di collocare a proprie spese la salma in un loculo cimiteriale. Sulla lapide, una breve epigrafe a ricordo del fatto.

Il 12 agosto il Podestà decretò di corrispondere alla GIL un contributo straordinario di £. 2.000 affinché potesse recarsi con i propri iscritti a Padova per accogliere il segretario del partito Achille Starace.

 

Inizia la seconda guerra mondiale (1° settembre 1939)

La seconda guerra mon­diale iniziò il 1° settembre 1939 con l’avanzata delle truppe tedesche oltre il confine polacco, cui rispose tosto la dichia­razione di guerra della Francia e dell’Inghilterra alla Germania. L’Italia, colta di sorpresa dal precipitare della crisi, non aveva potuto far altro che annun­ciare la propria non belligeranza, giustificandosi con l’impreparazione ad affrontare una guerra di lunga durata. In effetti l’equipaggiamento delle forze armate, già scar­so e antiquato, era stato ulteriormente impoverito dalle imprese in Etiopia e in Spagna. Il crollo della Francia contribuì a spazzar via le ultime esi­tazioni di Mussolini e a vincere le resistenze di quei settori della classe dirigente che, fino ad allora, si erano mostrati meno favorevoli alla guerra. Anche l’opinione pubblica cambiò orientamento di fronte alla prospettiva di una vittoria da ottenersi con pochissimo sforzo, al massimo con «qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo della pace».

 

Riflessi a Monselice della seconda guerra mondiale

Il 28 settembre il comune assumeva 10 impiegati per controllare gli ‘stati di famiglia’ dei monselicensi al fine di attivare le procedure necessarie per realizzare il razionamento alimentare con le ‘odiate’ tessere annonarie. Molti soldati erano già partiti per la guerra e chiedevano al comune la documentazione per ottenere le previste licenze agricole. Tra le molte richieste, segnaliamo quella di Guerrina Bianco, moglie del militare Francesco Brunello, classe 1910, con la quale chiedeva per il marito la concessione di una licenza agricola per far fronte ai lavori stagionali nella loro azienda in via Argine Sinistro, costituita da 70 campi padovani.

Tiro al piccione al Solario

Cronaca e lamentele

Un manifesto dell’Unione Provinciale Fascista Agricoltori di Padova avvertiva i contadini  che l’11 ottobre 1939 avrebbe avuto luogo l’ammasso del grano a Monselice e un raduno di bestiame bovino da fornire all’Amministrazione militare a prezzi calmierati.

La raccolta forzata del grano causò la chiusura di molti mulini e la fame nelle campagne. Lo apprendiamo da una nota del podestà inviata al consiglio provinciale delle corporazioni di Padova nella quale segnalava che i mugnai:

 << erano privi di granturco perché gli agricoltori dovevano obbligatoriamente consegnarlo allo Stato, per cui i molini a loro volta non potevano vendere la farina da polenta alla popolazione >>.

 

La crisi dell’economia si fece sentire subito pesantemente tra le persone meno abbienti. Per alleviare le sofferenze della popolazione furono attivate numerose mense pubbliche, pubblicizzate dal “Gazzettino” il 20 dicembre 1939 con il seguente articolo:

<< Ieri mattina, all’ora della distribuzione delle minestre presso l’ECA, è giunto improvvisamente il segretario del Fascio a Monselice, per una breve visita. Il gerarca era accompagnato dal centurione Romolo Turra e dal camerata Bruno Barbieri. L’improvvisa visita ha sollevato un’onda di vivissima soddisfazione tra i presenti. Il segretario del Fascio ha voluto prima di tutto assaggiare la minestra in distribuzione ed ha poi interrogato alcuni fra i numerosi assistiti che, seduti al desco, consumavano il sano, buono e caldo cibo. Dobbiamo notare inoltre che l’ECA distribuisce giornalmente anche un notevole quantitativo di latte a tutti i bambini dei genitori assistiti, e settimanalmente una ventina di quintali di farina di granoturco, che cede a prezzo veramente eccezionale, patate ed altro con notevole beneficio della popolazione povera. Per le prossime festività di Natale l’ECA distribuirà inoltre a tutte le famiglie bisognose un ben fornito pacco di Natale >>.

 

Coraggiosi salvataggi tra le fredde  acque del Bisatto

Scorrendo le cronache d’allora rileviamo che spesso nel canale Bisatto cadevano bambini e vecchi che subito venivano soccorsi dai passanti. Tutti gli incidenti erano trasformati dalla stampa in atti di eroismo che si concludevano con il plauso del podestà e con l’arrivo di una meritata medaglia al valor civile. Tuttavia, dato l’elevato numero di  “salvataggi”, vien da dubitare sulla veridicità dei fatti raccontati e siamo più propensi a pensare che i protagonisti volessero piuttosto accaparrarsi le ricompense che venivano elargite. In ogni caso ecco la notizia riportata dai giornali, ma possiamo assicurare che gli incidenti si ripetevano con cadenza mensile.

 << Il giorno 10 novembre, Eva Pegoraro di anni 8, mentre stava giocando con i fratelli in prossimità del ponte Grolla, cadeva accidentalmente in acqua. Alle grida di soccorso accorrevano varie persone, fra cui Goldin Silvio, di anni 42, il quale, visto di che si trattava, sebbene ancora in cura ed a riposo per un trauma subito sul lavoro, si gettava nelle fredde acque del canale e dopo notevoli sforzi riusciva a trarre in salvo a riva la fanciulla >>.

 

L’atto coraggioso fu segnalato al podestà il quale deliberò “di proporre per una ricompensa al valore civile il sig. Silvio Goldin, autista, da Monselice”. L’attestato di pubblica benemerenza venne effettivamente rilasciato il 30 ottobre 1940 dal Ministero dell’Interno.

 


Biografia di Vittorio Cini

VITTORIO CINI nacque a Ferrara il 20 febbraio 1885 da Giorgio ed Eugenia Berti. Completate le scuole secondarie a Venezia, nel 1903 si recò a St. Gallen, in Svizzera, per un soggiorno di studi commerciali presso l’Institut international Schmidt; da lì, l’anno seguente, passò a Londra, per svolgere attività di pratica bancaria. Ritornato in Italia nel 1905, si inserì nell’impresa paterna, che era stata fondata nel 1885. Iniziò così una prima utile esperienza imprenditoriale in un’azienda specializzata in lavori di costruzioni infrastrutturali (stradali, ferroviari, fluviali, marittimi). Salito nel 1910 all’effettiva direzione della ditta, diede vita nello stesso tempo ad una società collegata (Ditta Vittorio Cini, con sede a Chioggia), con cui riuscì ad affermarsi in importanti concorsi e gare d’appalto.

Durante la prima guerra mondiale si arruolò volontario quale ufficiale di cavalleria. Il 19 giugno 1918 sposò l’attrice teatrale e cinematografica Lyda Borelli (dalla quale avrebbe avuto quattro figli: Giorgio nato nel 1918, Mynna nel 1920, le gemelle Yana e Ylda nel 1924). Nel corso del 1918-1919 avviò, una fitta azione di smobilizzi e reinvestimenti, in seguito ai quali modificò completamente gli ambiti di iniziativa, corredandoli con un inscindibile apparato finanziario. Avendo già verificato con le prime esperienze imprenditoriali l’incidenza dei trasporti sull’aumento del volume di affari aziendale, Cini privilegiò gli interventi anzitutto nel settore marittimo-armatoriale.

Promosse da un lato la fondazione di alcune società di navigazione, intraprese dall’altro l’ascesa al controllo amministrativo di altre società di navigazione e di assicurazione marittima. Dava avvio in tal modo ad un’attività finanziaria ed amministrativa, che si sarebbe completata a cavallo degli anni ’20 e ’30, abbracciando oltre alla marineria anche altri settori collegati, come la cantieristica e la navigazione interna. Il culmine sarebbe stato raggiunto nel 1932, quando la Compagnia adriatica di navigazione (con sede a Venezia), sorta dalla fusione di sei società di navigazione, sotto la sua presidenza assunse praticamente il controllo dei transiti nell’Adriatico e, attraverso questo, nel Mediterraneo orientale e nell’oriente in unione con altre società di navigazione collegate. Con il decreto legge del 7 dic. 1936 l’I.R.I. intervenne nel campo marittimo mediante liquidazioni e concentramenti di società, ridefinizioni e raggruppamenti di servizi, gestione di una nuova finanziaria, la Finmare. Non per questo venne meno l’impegno di Vittorio Cini in seno alla marineria. Le sue iniziative dopo il 1919 sono difficilmente comprensibili se non vengono poste alla luce del suo ingresso nel «gruppo veneziano» che faceva capo a Giuseppe Volpi (da Cini più volte definito. «fraterno amico») e aveva caratterizzato fin dall’inizio le sue direttive con operazioni in cui lo Stato si presentava a garanzia e copertura di iniziative finanziarie private. I suoi rapporti col «gruppo veneziano» si intrecciarono in maniera decisiva dal 1920, quando assunse funzioni di responsabilità nella Società italiana costruzioni (Sitaco), che stava per procedere all’edificazione del quartiere urbano di Marghera annesso alla zona industriale, e nel Credito industriale (Credindustria). In nome e per conto del «gruppo veneziano» egli si inserì in molteplici settori, che manifestavano una forte capacità di partecipazioni incrociate: dagli insediamenti nella zona industriale di Marghera all’espansione dell’elettricità, dal controllo delle acque all’incremento tessile, dai trasporti alle comunicazioni radiotelefoniche, dalla siderurgia, metallurgia, meccanica al turismo. Si può misurare la portata di questa multiforme attività dall’inserimento di Vittorio Cini nella guida amministrativa e finanziaria di società come presidente o consigliere: nel 1930-1931 egli era presente in ventinove complessi.

Il prestigio ormai acquisito e l’allineamento nel «gruppo veneziano» gli valsero ad attrarre gli sguardi attenti degli ambienti economici e politici, tanto che nel 1921 venne nominato commissario straordinario dell’Ilva altiforni e acciaierie d’Italia, per procedere al risanamento del complesso siderurgico. Dopo poco più di un anno, la «nuova» Ilva poteva rilevare i suoi impianti. Nell’Ilva Cini continuò ad esercitare un ruolo di primo piano, tanto da succedere nel marzo 1935 a Sinigaglia nella presidenza della società, che tenne fino al 1939. Iscrittosi al Partito nazionale fascista nel 1926, ormai godeva di notevole ascendente anche presso i vertici politici, tanto che lo stesso Mussolini nel settembre 1927 gli conferì l’incarico di «fiduciario dei governo» per lo studio e le proposte di provvedimcnti concernenti l’assetto politico, sociale, economico di un’area ancora spinosa per il regime fascista, la provincia di Ferrara. Nominato senatore per la XXI categoria (censo) il 23 gennaio del 1934, in tale qualifica Cini non avrebbe svolto una intensa attività: rari ed episodici furono i suoi interventi, segno quasi di disinteresse e, forse, di superiorità per la politica ufficiale. Significativo però fu il suo esordio, connotato da una vivace polemica sul modo di intendere il ruolo e la funzione dello Stato nell’economia.

Nell’ottobre 1936 si parlò di Cini come possibile successore di Beneduce alla presidenza dell’I.R.I. In quel periodo, invece, i contatti tra Mussolini e Cini riguardavano un’altra incombenza, la carica di commissario generale dell’Esposizione universale di Roma (E 42) prevista per il 1942. La nomina venne sanzionata il successivo 31 dicembre. Al momento dell’assunzione dell’incarico egli si presentava con un Programma di massima, in cui tracciava le linee direttive, che, con alcune successive modifiche, si sarebbero manifestate negli anni appresso. Al di là di inevitabili stereotipi intesi ad esaltare l’«olimpiade della civiltà», il «senso di Roma», le «opere del fascismo», notevoli sono i punti qualificanti del progetto. Anzitutto la «definitività» dei lavori, non solo per evitare sprechi di costi senza utili, ma anche per attuare un piano di insediamenti. Poi la localizzazione in una sola area, quella dell’abbazia delle Tre Fontane, e non più in tre zone distinte a Roma, alla Magliana e al Lido, infine la creazione di un nuovo quartiere dirigenziale e residenziale.

Nella veste di commissario dell’E 42 Vittorio Cini effettuò anche una missione negli Stati Uniti nel giugno 1939, alla vigilia della guerra. Lo scopo ufficiale del viaggio – ottenere l’impegno americano di partecipare all’esposizione – nascondeva l’obiettivo reale della visita: verificare – per via diplomatica informale – con il presidente Roosevelt, su incarico del governo italiano, le rispettive posizioni nell’imminenza di prevedibili avvenimenti cruciali.

Gli anni della seconda guerra mondiale segnarono per Cini periodi di contraddizioni e di svolte decisive. Dopo essere stato insignito del titolo di conte di Monselice il 16 maggio 1940, egli si vide affidata la responsabilità di un ministero, quello delle Comunicazioni, nel rimpasto govemativo del 5 febbraio 1943. La nomina, che più volte tenne a dichiarare inaspettata, capitava dopo una serie di rifiuti da lui opposti nel corso del 1942 ad assumere altre cariche, e, soprattutto, in un momento in cui, se non si era già manifestata la scissione di responsabilità col regime fascista, stava per lo meno maturando quella tendenza a trasformare il sistema con l’eliminazione di Mussolini e l’avvicinamento agli Stati Uniti e all’lnghilterra.

Ben presto Cini intrecciò contatti con vari elementi orientati alla «dissidenza» all’interno del fascismo, da Caviglia a Ambrosio, da Ciano a Grandi, da De Bono a Bottai, sostenendo l’inevitabilità di «sganciarsi dalla Germania», senza temere di affrontare il «pazzo» Mussolini e «avere il coraggio di mandarlo via». Contemporaneamente assumeva nella sua funzione ministeriale una linea critica nei confronti della direzione politica e militare della guerra, tanto da sorprendere Mussolini, che in una riunione si disse «grato della chiara ed esplicita esposizione che solo oggi 10 marzo 1943 è rappresentata nella sua piena realtà». Ma il culmine venne raggiunto nella seduta del Consiglio dei ministri del 19 giugno, quando Cini espose l’insostenibilità della situazione, anticipando in qualche modo la successiva presa di posizione del Gran Consiglio del fascismo del 24-25 luglio. Pochi giorni dopo, il 24 giugno, Vittorio Cini rassegnò le dimissioni, che vennero però accolte e rese pubbliche solo il 23 luglio. Mussolini non avrebbe perdonato la sua uscita, tanto da provocarne probabilmente l’arresto il 23 settembre a Roma ad opera delle S.S. Venne trasferito nel campo di concentramento di Dachau, ma la scissione di responsabilità del Reich verso ogni misura della Repubblica sociale italiana, e, forse, anche la considerazione goduta presso i vertici economici e politici tedeschi, fecero in modo da procurargli il trasferimento presso una clinica a Friedrichroda, poi un tacito assenso alla liberazione, nascosto dalla costruzione di una fuga in aereo organizzata dal figlio Giorgio. Tra il luglio e l’agosto 1944 egli soggiornò in una casa di cura presso Padova, dove allacciò contatti con Meneghetti, presidente del Comitato di Liberazione Nazionale regionale veneto, mettendo a disposizione del movimento dl resistenza un cospicuo finanziamento. Oltre tutto fu questa una mossa anticipatrice della linea difensiva adottata successivamente nei confronti dei provvedimenti presi dall’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo e dalla commissione d’inchiesta del CLN regionale veneto. Nel gennaio 1946 Cini, soggiornando ancora prudenzialmente in Svizzera, ove si era rifugiato (fu a Tour de Peilz dal settembre 1944 al dicembre 1946), inviò un esposto ed un memoriale all’Alta Corte, in cui contestava gli addebiti mossigli. Il procedimento, per il quale si era interessato – oltre a Sforza anche Alcide De Gasperi nella seduta del Consiglio dei ministri del 5 marzo del 1946 si risolse con una nuova ordinanza del 12 marzo, che revocava la precedente, ripristinando la legittimità del titolo senatoriale a Vittorio Cini per aver preso «netta posizione contro le direttive del regime» e aver dimostrato «vivo patriottismo e violenta avversione al fascismo e al tedesco invasore». All’esito positivo del procedimento concorse in modo forse decisivo il giudizio formulato dalla commissione d’inchiesta nominata nel luglio 1945 dal Comitato di liberazione nazionale regionale veneto. Nel secondo dopoguerra Cini caratterizzò la sua attività con un rinnovato interessamento per la marineria, curando in particolare le iniziative della società Sidarma. Ma fu soprattutto l’industria elettrica ad impegnarlo, quale presidente della SADE. Nel periodo 1953-1962 la società portò a compimento un vasto programma di potenziamento degli insediamenti termo e idroelettrici nel Veneto e nel Friuli. La ripresa espansiva di questo settore era già stata avviata dal 1947-1948: negli anni ’50 però si estendeva notevolmente il piano di ampliamento di centri di produzione, dalle centrali termoelettriche di Marghera, Fusina, Porto Corsini, Monfalcone, ai bacini idroelettrici del Cellina, Cordevole, Piave, Vajont. Ceduti gli impianti all’Ente nazionale per l’energia elettrica, in seguito alla legge 6 dic. 1962, la SADE decise, nell’agosto 1964, di confluire quale finanziaria nella società Montecatini (anticipando così la fusione in questa della Edison). Poteva così assumere più consistenza un progetto di insediamento di un centro siderurgico a ciclo integrale, che era stato previsto dalla SADE. L’insediamento di un centro siderurgico a Taranto, il disastro verificatosi nel bacino del Vajont il 9 ottobre 1963 e l’alluvione che colpì anche Venezia il 4 novembre 1966 fecero definitivamente tramontare questo piano.

Dopo un tentativo, forse non troppo convinto, di ripresentarsi sulla scena politica nel 1951, mediante il finanziamento di un quotidiano romano, Il Popolo di Roma, ispirato di fatto da Bottai, Cini si dedicò con grande interesse ad iniziative culturali e al problema di Venezia.

Nel luglio 1951 nasceva a Venezia la Fondazione Giorgio Cini, dedicata al figlio scomparso in un incidente aereo il 31 agosto 1949. Il progetto di insediamento nell’isola di San Giorgio di un complesso culturale gli era stato suggerito dalla sensibilità di alcuni amici, tra i quali Nino Barbantini, che già si era fatto promotore nel 1935-1940 del ripristino del castello di Monselice (donato poi alla Fondazione nel 1972) e che divenne il primo presidente della Fondazione stessa. L’isola, sede militare da oltre un secolo, pur appartenendo ancora al demanio, fu sottoposta tra il 1951 ed il 1959 a ingenti restauri, rilevanti soprattutto nelle parti monumentali, e conobbe in seguito, nel corso degli anni, l’installazione di tre centri: marinaro, arti e mestieri, di cultura e civiltà. Cini portava così a compimento una passione che l’aveva sempre accompagnato, e che si era concretizzata, oltre che nelle collezioni artistiche del suo palazzo veneziano e del castello ezzeliniano, in iniziative come quella attuata a Ferrara con la donazione del palazzo di Renata di Francia all’Università e quella della creazione di un Istituto di Cultura “Casa Cini” diretto dai gesuiti. La Fondazione assumeva per Vittorio Cini anche un significato di proposta culturale e politica, inerente al problema di Venezia. Non a caso la Fondazione promuoveva (ottobre 1962) un convegno sul «problema di Venezia», in cui Cini si faceva interprete di proposte di salvaguardia dell’«insularità» lagunare, stimolatrice di fermenti culturali, demandando invece alla terraferma il compito di vitalizzazione economica del centro storico: Venezia dunque isola culturale e dirigenziale, Marghera e Mestre forze di produzione e di servizi. In ciò egli si mostrava coerente con una visione di separazione delle competenze, che lo aveva sempre contraddistinto, e che era stata interrotta, come egli stesso riconosceva, da un solo «errore colossale», quello di aver favorito il ponte automobilistico translagunare inaugurato nell’aprile 1933. Venezia fu pure in qualche modo segno del suo legame con la Chiesa cattolica, che si manifestò in vari aspetti: tra questi, la direzione della procuratoria di S. Marco tra il 1955 e il 1967, durante la quale appoggiò importanti restauri nella basilica di S. Marco, guidati da F. Forlati. In questi anni si instaurò anche un intenso rapporto con i pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI.

Deceduta la prima moglie nel giugno 1959, Vittorio Cini sposò in seconde nozze Maria Cristina Dal Pozzo D’Annone il 16 febbraio del 1967. Negli ultimi anni di vita raccolse numerose onorificenze, tra le quali si possono segnalare il cavalierato del lavoro (4 giugno 1959), l’associazione all’Académie des beaux-arts de l’Institut de France (9 ott.1968), il conferimento del collare del Supremo Ordine della SS. Annunziata (11 marzo 1975).

Vittorio Cini morì a Venezia il 18 settembre del 1977. (dalla voce del “Dizionario Biografico degli Italiani” di Maurizio REBERSCHAK)

 


 

 

INDICE GENERALE DEI CAPITOLI CON LINK

Roberto Valandro, Introduzione  [ Clicca qui…]

I. Premessa. Monselice dal 1922 al 1937.  [ Clicca qui…]

II. Anno 1938. Dalla guerra di Spagna alle leggi razziali.    [ Clicca qui…]

III. Anno 1939. I grandi lavori promossi da Vittorio Cini.    [ Clicca qui…]

IV. Anno 1940. La visita del Duce a Monselice.    [ Clicca qui…]

V. Anno 1941. La protesta del Mazzarolli: tra pane e polenta.    [ Clicca qui…]

VI. Anno 1942. La rivolta delle donne.  [ Clicca qui…]

VII. Anno 1943. I tedeschi occupano Monselice   [ Clicca qui…]

VIII. Anno 1944. Formazione della resistenza armata    [ Clicca qui…]

IX. Anno 1945. La Liberazione di Monselice    [ Clicca qui…]

X. I processi del dopoguerra a Monselice : alla ricerca della verità     [ Clicca qui…]

XI. Ricordando la Shoah. Ida Brunelli, una monselicense tra i ‘Giusti’ d’Israele    [ Clicca qui…]

XII. I caduti monselicensi durante la seconda guerra mondiale. Ricordo e appartenenza per non dimenticare  [ Clicca qui…]

Vedi anche:

Soldati  monselicensi morti nei campi di concentramenti (IMI)       [ Clicca qui…]

Soldati di Monselice decorati al valor militare durante la 2° guerra mondiale  [ Clicca qui…]

 

 

 


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