
MONSELICE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
Storie di soldati, di donne e di partigiani dalla Monarchia alla Repubblica (2009)
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Introduzione di Roberto Valandro – Ricerche d’archivio di Giuliana Desirò – Indagini presso le famiglie dei caduti di Carlo Bernardini – A cura di Flaviano Rossetto
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INDICE GENERALE DEI CAPITOLI CON LINK Roberto Valandro, Introduzione [ Clicca qui…] I. Premessa. Monselice dal 1922 al 1937. [ Clicca qui…] II. Anno 1938. Dalla guerra di Spagna alle leggi razziali. [ Clicca qui…] III. Anno 1939. I grandi lavori promossi da Vittorio Cini. [ Clicca qui…] IV. Anno 1940. La visita del Duce a Monselice. [ Clicca qui…] V. Anno 1941. La protesta del Mazzarolli: tra pane e polenta. [ Clicca qui…] VI. Anno 1942. La rivolta delle donne. [ Clicca qui…] VII. Anno 1943. I tedeschi occupano Monselice [ Clicca qui…] VIII. Anno 1944. Formazione della resistenza armata [ Clicca qui…] IX. Anno 1945. La Liberazione di Monselice [ Clicca qui…] X. I processi del dopoguerra a Monselice : alla ricerca della verità [ Clicca qui…] XI. Ricordando la Shoah. Ida Brunelli, una monselicense tra i ‘Giusti’ d’Israele [ Clicca qui…] XII. I caduti monselicensi durante la seconda guerra mondiale. Ricordo e appartenenza per non dimenticare [ Clicca qui…] Vedi anche: Soldati monselicensi morti nei campi di concentramenti (IMI) [ Clicca qui…] Soldati di Monselice decorati al valor militare durante la 2° guerra mondiale [ Clicca qui…] Nuovi documenti sulla lotta partigiana a Monselice nel 1944 [ clicca qui ] Tragedia a San Cosma nel 1945 … [ Clicca qui…] |
Roberto Valandro, Introduzione
Capita sovente, e l’abbiamo sperimentato chissà quante volte, di percepire stimoli casuali rianimanti, d’improvviso, ricordi sopiti: cose visi circostanze che hanno lasciato tracce profonde nella memoria e che ci piace riesumare, di tanto in tanto, a conforto magari di delusioni e tristezze disseminate generosamente dalla signoreggiante routine. Quando ho iniziato a leggere le voluminose bozze di Monselice nella seconda guerra mondiale, una problematica e rischiosa rivisitazione portata a compimento con caparbia determinazione da Flaviano Rossetto, la mente s’è affollata di episodi e frammenti del mio vissuto professionale, affioranti con prepotenza pagina dopo pagina, trascinandomi in un ieri privato fino agli inizi della mia carriera d’insegnante, quando rielaborai, fra l’altro, uno stimolante ciclostilato dal titolo precorritore: Monselice e la sua gente tra le due grandi guerre (1900-1945), il risultato di indagini originali e di interviste affidate nell’anno scolastico 1974-’75 agli allievi di una indimenticata terza B della ‘Zanellato’.
In quell’occasione avemmo l’opportunità di incontrare alcuni vecchi combattenti del ’15-’18 e di registrare le inenarrabili vicissitudini di un’impensata spaventosa guerra di trincea, confrontandole con gli altrettanto funesti accadimenti dei superstiti di lager e campi di concentramento, ma con una novità rimarchevole: il cruento conflitto bellico patito ‘in casa’ dai civili dopo il ’43, con bombardamenti, con privazioni e vessazioni infinite, con le pretestuose angherie dei nazi-fascisti e di quanti s’erano aggregati per paura, per viltà o gretto interesse. Ebbi così modo di verificare l’assoluta importanza delle trascurate testimonianze orali dei protagonisti veri, di anonimi soldati e popolari che, sia pur soggettivamente, ridonavano sangue e cuore al documento cartaceo, a quanto gli archivietti personali, con foto lettere e manoscritti, oppure quelli di Comuni e Parrocchie potevano svelare volendo ricostruire una ‘storia’ tanto vicina quanto drammaticamente legata alla svolta epocale determinatasi in Italia dopo la fine traumatica della guerra e della soffocante dittatura, approdando da ultimo, con fatica e non senza ambiguità e contraccolpi, all’istituto democratico repubblicano.
Questo filone di ricerca, non proprio originale ma consono al mio modo di concepire il critico riesame del passato, pure quello lontano o lontanissimo (concedendo ampio spazio, ad esempio, ai nomi di luoghi terragni più o meno vetusti, alle usanze folcloriche e alle leggende autoctone), ha dato negli anni frutti copiosi (e mi auguro gustosi…), caratterizzando alcune tappe significative della mia produzione libresca, intessuta appunto di ‘storia’ e ‘storie’, di cronachette divulgative, finanche giornalistiche, di recuperi biografici, ponendo in primo piano gli individui, gli oscuri facitori del presente nostrano accanto ai personaggi di qualche spicco apparsi di tanto in tanto sul proscenio municipale.
Non nego l’emozione che mi ha preso scorrendo i capitoli della stesura in fieri, un lavoro a più voci, che ha visto concentrarsi nella meritoria Biblioteca civica il fulcro attivo e fattivo dell’intrapresa coinvolgendo una persona a cui mi lega un’amichevole antica frequentazione, dico di Carlo Bernardini, apprezzato artigiano manipolatore del ferro ed altrettanto instancabile esaltatore della figura paterna e di quanti hanno condiviso fino all’estremo sacrificio le terribili prove nei campi di sterminio tedeschi. L’affetto filiale, il rispetto per ideali calati nell’azione, il coraggio di rifiutare il ‘facile’ salvifico rifugio portogruarese offertogli dal conte Vittorio Cini, suo datore di lavoro, ne fanno davvero un ‘eroico’ sottaciuto esponente di un manipolo di ‘patrioti’ monseliciani meritevoli d’essere rammemorati e onorati da una collettività dimentica invece o indifferente.
È questo il proposito dichiarato di Monselice nella seconda guerra mondiale, una dovuta riparazione all’imperante oblio affidato a un testo che rifiuta per principio la retorica dei sentimenti o la prosopopea d’una dispendiosa veste tipografica, scommettendo piuttosto sul dimesso apparato d’un brogliaccio cronachistico un po’ affastellato ma corposo, uno ‘zibaldone’ che risale lento dal ventennio fascista, sbozzato appena in una decina di pagine, sino alle frementi giornate della Liberazione.
Già dal secondo capitolo, e avvicinandosi via via agli anni cruciali della guerra mussoliniana e della Repubblica di Salò, la trama s’infittisce, si fa diario pressoché giornaliero, un dialogo serrato con i documenti da cui emerge coralmente l’agitato sentire di una comunanza (co)stretta dall’ossessiva propaganda di regime e minacciata nel contempo dall’impendente diuturna comparsa delle distruttive fortezze volanti ‘alleate’ accanto alla terrestre mefitica presenza del ‘nemico’ germanico.
Era una vita rintanata, angosciante, quella affrontata da tutti indistintamente, alla caccia del cibo come animali selvatici, combattuti dall’intricata pulsione d’opposti stati d’animo: di dolore, egoismo, passione, odio, terrore, fede, indifferenza, pietà, ferocia, speranza e… disperazione. La puntuale cronistoria delinea dunque con vivezza la raffigurazione, avvincente nella sua dimensione tragica, di un’umanità tutta calata in un caotico divenire, restituito a tinte forti, dal nero ferale al rosso insanguinato, dal verde rinascente alle variegate campiture di stagioni che avevano sempre più l’amaro sapore d’un atroce inganno. Va da sè che l’impronta dell’immediatezza e del contingente ha condizionato pure la stesura di una prosa prossima al linguaggio familiare, all’approccio orale, anche là dove compare l’ufficialità burocratica, oppure con regole grammaticali, come punteggiatura e uso delle maiuscole, spesso orecchiate o evanescenti.
D’altra parte non era il caso d’insistere su formalismi stilistici rifiutati proprio dal disordinato e irrequieto contesto; ciò non toglie che ogni brano, ogni frammento si proponga al lettore con la pregnanza conferita dall’eccezionalità della condizione esistenziale che sostanziava e guidava, con passi fin troppo obbligati, le azioni dei monseliciani d’allora. Tra le righe scopriamo infatti un groviglio inestricabile di gesti e atteggiamenti contrastanti, dimenticati in seguito o cancellati in fretta anche da coloro che li avevano sperimentati, desiderando rimuovere, è da credere, un quotidiano insopportabilmente tormentoso oppure sotterrare nel silenzio condiviso negligenze manchevolezze sotterfugi o, peggio, colpe gravi, delitti che nemmeno il prolungato funesto stato di guerra poteva giustificare di fronte a coscienze rette, cristianamente plasmate.
Flaviano Rossetto e i suoi collaboratori hanno scelto, a parer mio, la via maestra riproponendo i materiali d’archivio nella loro piena contemporaneità, inibendosi di proposito l’istintivo impulso critico, conservando le coloriture espressive d’un podestà d’un gerarca d’un commerciante, di un agricoltore o di una popolana inferocita dalla costante crescente penuria dei generi di prima necessità esibiti sul mercato nero a prezzi abnormi, avvicinabili da pochi privilegiati. L’atavica disparità tra benestanti e masse impoverite, stremate, riacquista qui la dimensione della millenaria lotta per la sopravvivenza, minacciata per di più, comunque e dovunque, dal dirompente esplodere delle bombe, dai vigliacchi colpi di moschetto e di mitraglia. La condotta dei curatori nel ‘giudicare’ scelte e comportamenti è stata per ciò quanto mai guardinga, lasciando al lettore partecipe di ‘cavare la morale’, consapevoli che col senno di poi è fin troppo facile separare (ma non sempre) il giusto dall’ingiusto, l’onesto dal disonesto, la codardia dall’eroicità.
La mia generazione, essendo nato nel 1942, e le successive hanno avuto l’inestimabile fortuna, rispetto al passato, di vivere in pace, di conoscere il male della guerra attraverso la narrazione scritta orale e cinematografica o con la cruda attualità d’altri popoli e d’altre terre lontane, ma i nostri padri i nostri nonni l’hanno sentito penetrare infìdo, quel male, nel proprio corpo e nell’anima, ne hanno portato le stigmate, le deturpanti ferite, tacendo parzialmente a figli e nipoti, forse per pietà, l’orrido baratro in cui erano precipitati, un intimo dolore lenito dallo scorrere delle stagioni che li ha spinti, in fine, a dissotterrare a testimoniare a raccontare… Mi son chiesto, in tale prospettiva, il perché d’una tardiva fioritura diaristica bellica che pure nella città della Rocca ha trovato validi recenti esempi e immagino siano stati proprio il pudore a trattenere, il naturale ritegno a lasciarsi denudare dentro giacché la verità, quella almeno plausibile, richiede quest’arduo atto libertario. E così le reliquie memoranti di luttuose esperienze, conservate magari in traccia su qualche foglio sbiadito, sono finalmente riemerse a monito e insegnamento per i giovani d’oggi tanto bisognosi di ideali orientanti nel confuso malessere sociale che li irretisce.
Tale lo spirito da cui ha preso forma e sostanza la minuziosa ricostruzione storica di Monselice durante la seconda guerra mondiale, un testo volutamente lontano, lo si è capito, da preoccupazioni espressive, teso a cogliere le differenti attestazioni nell’immediatezza degli eventi; in più l’inedito poderoso corredo fotografico ha il merito di riportarci, d’un tratto, indietro quasi di un secolo, situando i fatti nella fisica dimensione visiva d’una città che ha mutato vestito se escludiamo il tessuto monumentale, pure esso rinnovellato da restauri non sempre oculati. È uno dei pregi che ho riscontrato, invidiando ancora all’articolato montaggio documentario notizie e spunti, anche minimi o in apparenza insignificanti, che avrei volentieri utilizzato nei miei resoconti ‘a memoria’, come per esempio il perdurante attaccamento alle ricorrenze tradizionali care al popolino: il ‘miracoloso’ pane di S. Lucia votato a proteggere la vista, procurato nonostante l’invalicabile razionamento della farina; l’amatissima ‘sagra delle vova’ nel giorno di Pasquetta alla Rotonda e su per i Santi, permessa superando le severe restrizioni del comando tedesco e degli apprestamenti difensivi; oppure il replicato successo della Fiera novembrina, meravigliando le autorità comunali per l’incredibile concorso di foresti, di merci e animali.
E un altro capitoletto avrei volentieri rimpinguato con le note archivistiche ridestate da Giuliana Desirò e Flaviano Rossetto: il segreto trapasso di Primo Cattani, ricostruito nelle mie Terre albe edite nel 1991. Allora ebbi la ventura di familiarizzare con gli eredi di chi, in Arquà Petrarca, lo aveva protetto, con la fuga precipitosa e il nascondimento, dalla mortifera vendetta dei perseguitati e dalla certa condanna del tribunale patavino. Da loro conobbi in dettaglio gli ultimi mesi di vita e li descrissi, ponendomi dal punto di vista del Cattani e dei soccorritori, trascurando le malvagità subite dalle vittime prima e durante la nefanda temperie bellica. Ecco, l’illuminante scheda biografica e i ripetuti cenni sparsi qua e là mi avrebbero obbligato a tenerne maggior conto, a restituire, credo con tratti impietosamente veridici, una figura emblematica del fascismo nostrano, una fazione di adepti subito prevaricante nelle turbolente origini e vieppiù persecutoria fino all’esaltazione autodistruttrice del biennio repubblichino. Ciò accadrà, forse, se mi verrà voglia di ripensare all’istruttiva vicenda di Primo Cattani, con la misteriosa comparsa di un ‘cadavere putrefatto’ nel cimitero arquesano in quel freddo mattino del gennaio 1947. (Roberto Valandro)
Cap. I
MONSELICE DAL 1922 AL 1937 Nascita del fascismo a Monselice
Il 21 aprile 1921 si costituiva ufficialmente il Fascio a Monselice. Principale animatore era l’avvocato Agostino Soldà, primo segretario politico, in stretta collaborazione con Antonio Verza, Giovanni Grezzana, Antonio Turetta, Tranquillo Gallo e Romeo Scarparo. Tra i sostenitori anche due sacerdoti: don Antonio Simionato, insegnante nelle scuole medie e don Luigi Barbierato, parroco di Ca’ Oddo. “Costoro – precisa il Carturan – erano di sentimenti fascisti al cento per cento, non mancavano ad ogni occasione di fare propaganda per il regime anche nei pubblici comizi”.
Con la fondazione del Fascio, apparvero anche le prime squadre fasciste costituite da molti agrari e da alcuni giovani del centro. I camerati più attivi erano Adolfo Bonivento, Arcangelo Bovo, Agostino Soldà, Attilio Voscovi, i fratelli Turetta, Romeo Scarparo, i fratelli Rossato e Giuseppe Valerio, per citarne alcuni. Inoltre nella stazione ferroviaria, fra i sottocapi prestava servizio Michelangelo Breccia, “fascista fiero e risoluto”, il quale a poco a poco iniziò anche fra i 120 ferrovieri locali una fervente attività politica.
La caccia e le rappresaglie contro gli avversari politici – ‘i rossi’ – si effettuavano anche a Monselice con metodi più o meno persuasivi. “Coloro che erano stati segnati nel libro nero erano ricercati ovunque: nelle case, nei ritrovi, per le strade. Dall’olio di ricino che si faceva inghiottire in grosse dosi ai meno temibili, al manganello che si adoperava contro i più ostili. Spesso si organizzavano delle spedizioni punitive, con le armi in pugno, nei comuni vicini o nelle campagne, ingaggiando anche dure schermaglie con i comunisti. I fascisti vestivano una divisa a foggia militare ed erano armati in piena regola. Tutto ciò senza i necessari permessi delle autorità preposte che gradatamente si erano lasciate prendere la mano” ( C. Carturan).
Il clima di tensione crescente si trasformò in tragedia la sera del 24 settembre 1921 in piazza Mazzini, dove trovava la morte Pasquale Usaggi da Montericco, aggredito dalla guardia del corpo di un tenente del fascio.
Nel frattempo a livello nazionale, dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922, Mussolini iniziò a trasformare lo Stato in senso autoritario, avviando un processo che porterà ad una sempre più stretta identificazione dello Stato col fascismo. Le squadre d’azione furono trasformate in Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN). Facevano parte delle forze armate, ma continuarono con le abituali violenze. La stampa fu posta sotto il controllo della censura.
Nelle amministrazioni locali furono aboliti i consigli comunali e i sindaci sostituiti da podestà di nomina governativa. La gioventù venne inquadrata sin dall’infanzia in apposite organizzazioni fasciste a carattere paramilitare, come l’Opera Nazionale Balilla (ONB), più tardi denominata Gioventù Italiana del Littorio (GIL). Il 15 giugno 1939 il podestà Mazzarolli, nel deliberare l’iscrizione del Comune a socio perpetuo della GIL, precisava che l’organizzazione rivestiva
<< una grande importanza per l’ininterrotta marcia del fascismo […]. I ragazzi della GIL si preparano, nelle scuole e nelle palestre, nei campi sportivi e nei campi estivi ed invernali, nelle caserme e nei corsi di cultura e di specializzazione militare, là dove, cioè, l’esercizio costante, razionale ed agonistico dei muscoli e dell’intelletto conferisce ad ogni ‘unità’ una personalità ben definita. Il contributo concesso annualmente è un dovere per ogni italiano, educato alla severa scuola del fascismo >>.
La stampa era rivolta all’esaltazione del regime, della persona del Duce, della tradizione imperiale romana e della ‘nostra’ forza guerriera. Per la propaganda politica fu creato il Ministero della Cultura Popolare. Nel campo religioso il fascismo promosse la conciliazione tra lo Stato italiano e la chiesa cattolica. L’11 febbraio 1929 furono stretti col pontefice Pio X i Patti Lateranensi, anche se non mancarono motivi di contrasto con l’Azione Cattolica.
Il 1° giugno 1923 giungeva a Monselice il capo del governo Benito Mussolini, su un’automobile scortata da un plotone di carabinieri e dalla milizia, guidata per l’occasione da Giovanni Alezzini, il più importante fascista padovano assieme a Calore. Ai lati della strada una gran folla, i vessilli delle varie associazioni, i maestri con le proprie scolaresche. Accolto con grandi onori in sala Garibaldi da tutto il consiglio comunale, gli venne offerta all’unanimità la cittadinanza onoraria. In piedi davanti al Duce il sindaco Corinaldi, capo delle camicie nere di Monticelli, dichiarò:
<< Signori consiglieri affinché la gratitudine, il saluto e la promessa siano consacrati in un atto pubblico che per il suo significato faccia fede dell’unanimità dei nostri sentimenti, la Giunta municipale si onora di sottoporre alla vostra approvazione il conferimento a Mussolini della cittadinanza onoraria >>.
Pochi giorni dopo, il 10 giugno 1923, arrivò anche il re Vittorio Emanuele III per inaugurare il nuovo ospedale civile, al quale aveva contribuito con una notevole somma. Il re era stato per quasi un anno, durante la prima guerra mondiale, nella vicina villa Corinaldi, da allora chiamata villa Italia, e aveva voluto in tal modo sdebitarsi con la cittadina.
Nelle elezioni del 1924 il fascismo dispiegò tutta la sua forza, tutta la sua capacità di ‘convinzione’. Il giorno prima della votazione a Monselice la campana della torre civica chiamò a raccolta il popolo. In piazza una ‘selva’ di bandiere, gagliardetti, inni, canti patriottici, acclamazioni al Re e a Mussolini. Ma la vittoria della lista fascista fu di stretta misura tanto che Giovanni Alezzini raccomandò al Fascio di Monselice “di rinserrare le fila”. Secondo il Carturan a Monselice
<< nella maggioranza della popolazione nei primi tempi il fascismo non fu troppo sentito. Un senso d’apatia e di indifferente attesa si manifestò e si mantenne, tanto che nel 1925 il segretario federale padovano Alezzini, in una riunione al teatro Massimo, sferzava aspramente il contegno del nostro ambiente politico. Gradatamente però l’azione totalitaria del partito s’impose anche qui, tenendosi pur sempre conto che la nostra popolazione non si è mai abbandonata ad eccessivi entusiasmi in qualunque momento e per qualsiasi concezione politica, se si eccettuano i brevi periodi elettorali, quando erano in contrasto i programmi dei vari partiti ed in palio i denari dei vari candidati >>.
Il podestà Annibale Mazzarolli
Il 4 aprile 1927 Annibale Mazzarolli venne nominato podestà di Monselice. Uomo colto ed intelligente, così lo definisce Celso Carturan nella sua dattiloscritta Storia di Monselice. Apparteneva all’alta borghesia burocratica padovana; insieme al fratello era proprietario di una vasta tenuta a Conegliano. Si dilettava di musica e scrisse una storia di Monselice che fino agli anni ‘90 del secolo scorso rimase l’unica ‘storia’ della città. Durante il suo mandato (1927-1943) realizzò importanti opere pubbliche, ammodernando la città e le frazioni.
Il suo arrivo a Monselice, in realtà, non riuscì a smorzare i dissidi all’interno del partito fascista che si concretizzarono anche nel marzo 1928 quando il federale di Padova Giovanni Alezzini venne a Monselice per portare la sua testimonianza in occasione dell’incendio doloso che aveva devastato la casa del Fascio. Il federale durante un comizio fece riferimento a lotte intestine minacciando: «Chi turba, chi bega, chiunque sia, sarà punito!».
Le elezioni plebiscitarie di adesione al regime furono seguite personalmente dal federale padovano. Il podestà fu invitato a mobilitarsi e a comunicare il numero degli elettori che con certezza si sarebbero presentati alle urne. Le votazioni si svolsero il 24 marzo 1929. I voti favorevoli furono 2.380, quelli contrari 89, i nulli 8. Monselice era diventata ‘fascista’! I deputati per la provincia di Padova furono Giovanni Alezzini, Emilio Bodrero Augusto Calore e Giovanni Milani. Significativa, per capire le preoccupazioni dei gerarchi padovani, è la nota spedita dal Mazzarolli, il giorno dopo le elezioni, al prefetto nella quale precisava che
<< l’atteggiamento tenuto dagli ecclesiastici di Monselice nel periodo elettorale è stato di assoluta solidarietà col regime e la prova è data dall’esito delle votazioni; nelle frazioni – precisa il podestà – i parroci hanno invitato gli elettori a presentarsi alle urne >>.
Il Concordato evidentemente aveva prodotto i suoi effetti: la Chiesa era con il Duce. Negli anni successivi il regime consoliderà la sua presenza e il Mazzarolli procederà rapidamente all’ammodernamento di Monselice.
La nuova casa del Fascio a Monselice
Nel marzo del ’35 il fascio monselicense esprimeva in modo tangibile la sua forza inaugurando la grande casa del Fascio, costruita grazie all’interessamento del segretario del Fascio Agostino Soldà, su di un terreno ceduto dal Comune e col contributo finanziario delle varie organizzazioni fasciste.
La stessa Società Operaia, fascistizzata ad opera dell’ingegnere comunale Guido Antenori che la presiedeva, offrì una notevole somma, calpestando in tal modo le chiare indicazioni del suo secolare statuto. La casa del Fascio era dotata di un teatro per la filodrammatica e per le serate danzanti, di una sala di lettura, di campi da bocce e da tennis e di ampi spazi per ospitare le numerose organizzazioni e i sindacati del regime. Nell’edificio si riunivano soprattutto le varie associazioni dei combattenti, l’Opera Nazionale Dopolavoro (OND) e, per un breve periodo, il circolo culturale ‘Savarè’, costituito da una ventina di studenti futuristi che si cimentavano nella pittura, nella poesia e nella musica. Gli iscritti al Fascio erano circa cinquecento, di cui centotrenta donne; oltre tremila gli iscritti all’OND: il gruppo più numeroso della provincia.
Il giorno dell’inaugurazione era presente tutto il popolo ‘vibrante’. Dopo la benedizione di mons. Gnata si svolse una grande sfilata. “Sotto al palco d’onore passò il popolo, inquadrato nelle molteplici organizzazioni, con le relative bandiere e gagliardetti: il battaglione della milizia, i fasci giovanili, il nucleo arditi, la 513^ legione balilla, gli avanguardisti, gli artigiani, i sindacati, il gruppo mutilati, gli ex-combattenti. E infine sfilò ‘anche’ la squadra azzurra, reduce dal campionato calcistico di seconda categoria che aveva vinto con onore, seguita dalle squadre della riserva”.
Guerra d’Africa
L’annuncio della guerra venne dato a Monselice con sirene e campane. “Il lavoro si fermò: officine, negozi.[…] e tutti corsero in piazza Vittorio Emanuele …nereggiante di folla… ad aspettare il discorso del Duce. Vibranti ed altissime acclamazioni sottolinearono i passi più significativi del discorso del Duce… Poi vari cortei sfilarono per le vie della città”. La città si mobilitò per dare sostegno alla guerra e una lampada votiva venne accesa in Duomo per far tornare vittoriosi i soldati italiani in Africa.
Il 3 ottobre 1935 le truppe italiane penetrarono in Etiopia. La guerra durerà 7 mesi. Il conflitto, che aveva come pretesto piccoli incidenti di frontiera presso i pozzi somali di Ual Ual, nacque dal bisogno del fascismo di creare nuovi consensi, per dare sfogo alla crescente pressione demografica e assecondare le mire delle industrie nazionali. Alle sanzioni economiche decretate contro l’Italia dalla Società delle Nazioni per l’attacco all’Etiopia il regime rispose con la campagna per “l’oro alla patria”. Moltissime furono le donne che, nel corso di pubbliche cerimonie e seguendo l’esempio della regina Elena, offrirono le fedi matrimoniali. Anche la città di Monselice si mobilitò: l’avvocato Soldà donò subito una trentina di grammi d’oro, seguito da molti altri; complessivamente vennero raccolti 16 chili d’oro e sei d’argento.
L’autarchia a Monselice
Le sanzioni economiche applicate all’Italia in seguito all’invasione dell’Etiopia furono del tutto inefficaci. Anzi, stimolarono il sentimento di orgoglio nazionale che spinse il governo ad adottare nuovi provvedimenti per un ulteriore sviluppo della politica economica autarchica: si cercò di produrre all’interno del Paese ogni sorta di merci indipendentemente dal prezzo, per eliminare le importazioni dall’estero.
Numerose furono le iniziative pubbliche anche a Monselice. Il fascio invitò gli agricoltori ad intensificare l’allevamento di polli, conigli ed api per combattere le sanzioni. I gerarchi dichiaravano perfino che gli ammalati ricoverati nell’ospedale avevano ‘autonomamente’ deciso di rinunciare alla carne e al caffè per un giorno alla settimana. Un manifesto del 19 giugno 1936 incitava i consumatori monselicensi ad “acquistare solo prodotti nazionali”. Il 2 ottobre 1939 la consulta municipale per “economizzare il consumo del carbone nelle scuole elementari maschili urbane”, deliberò l’acquisto di un apparecchio bruciatore che consentisse il consumo dei carboni nazionali.
Nell’ambito della così detta “battaglia del grano”, si incoraggiò il “ritorno alla terra”, cercando di impedire l’afflusso dei lavoratori delle campagne verso le città. Il 19 dicembre 1939 si svolgeva una riunione con circa 400 bieticoltori durante la quale il prof. Guido De Marzi illustrò il ruolo della bieticoltura nel piano autarchico.
Tra i problemi causati dal divieto dell’importazione, particolarmente grave fu quello determinato dalla mancanza di ferro da utilizzare nell’edilizia. Una nota, tra le tante, del 23 dicembre 1939 indirizzata al podestà della ditta F.lli Milani Luciano e Luigi, con sede nel viale del Re, chiedeva aiuto per la costruzione di alcuni
<<silos per foraggi in cemento armato, del tipo esistente in parecchie mezzadrie dell’Amm.ne Trieste e da noi fatti; data la difficoltà dell’approvvigionamento del ferro preghiamo la S.V. Ill.ma di farci un certificato, sia pure in carta semplice, per far domanda al Commissariato che per tale scopo ci conceda un po’ di ferro, avendone in preventivo da costruire per i Sigg. Breda Florindo, Sigolo Augusto ed altri. Certi del favore, la ringraziamo anticipatamente>>.

La conquista di Addis Abeba
L’11 ottobre 1935 il Mazzarolli, prima di iniziare la seduta della consulta municipale, rivolse, in divisa fascista, un saluto ai combattenti dell’Africa orientale “ed un memore pensiero ai generosi che sono già caduti nell’adempimento del loro dovere”. I consultori “seguirono con viva attenzione le parole del podestà, levandosi sull’attenti quando egli accennò ai caduti e rispondendo vigorosamente al saluto al Re e al Duce”.
Il 5 maggio 1936 le truppe italiane conquistarono Addis Abeba. La guerra ufficialmente finiva, ma continuerà per anni sotto forma di guerriglia, causando altre migliaia di morti, soprattutto per effetto delle repressioni italiane. Mussolini poté così salutare, dopo 15 secoli, la riapparizione dell’Impero sui colli di Roma.
Nessun monselicense cadde nella guerra d’Africa. Segnaliamo però che il concittadino tenente Guido Zanovello, comandante del gruppo bande irregolari nell’Africa orientale, venne decorato con una medaglia d’argento e due di bronzo al valor militare.
Lavori pubblici a Monselice
Il 7 febbraio 1936 venne inaugurato il nuovo impianto dell’illuminazione pubblica e furono appaltati i lavori per la costruzione della nuova strada di circonvallazione che aggirava la Rocca per immettersi sulla strada che portava a Rovigo senza dover passare per il centro cittadino.
<< Finalmente Monselice, con la costruzione di questa importante opera, vedrà risolto il grave problema della viabilità, ovviando così agli innumerevoli inconvenienti che si verificano lungo la traversa dell’abitato, stretta e tortuosa e non certo rispondente alle esigenze dell’enorme traffico cui era soggetta, specie con gli autotreni >>.
Altro problema, finalmente risolto, fu quello relativo alla costruzione di un ponte girevole in ferro sul canale Bisatto. Le parti murarie furono affidate all’impresa di costruzioni Cavallini & G. Zanon di Padova, mentre quelle in ferro alle Officine Galileo di Battaglia.
Nel frattempo alle pendici del Montericco il conte Vittorio Cini stava costruendo, a proprie spese, un solarium per i giovani in precarie situazioni economiche.
La guerra civile spagnola
Nel mese di luglio 1936 iniziava in Spagna l’insurrezione franchista. L’Italia inviò uomini e mezzi agli insorti, assieme alla Germania. Volontari di ogni nazione accorsero dall’altra parte a combattere per il governo repubblicano, costituendosi in brigate internazionali, a cui parteciparono oltre 5.000 italiani antifascisti. Anche Monselice si mobilitò e alcuni monselicensi partirono per la guerra a fianco, però, del generale Franco.
Nascita del gruppo futurista ‘Savare’.
Il 12 luglio 1936 su iniziativa di Corrado Forlin, aeropittore e aeropoeta, sorgeva il gruppo futurista ‘Savarè’, nome suggerito da Marinetti in memoria del futurista Nino Savarè, caduto in Africa, nel Tembien, alla testa dei suoi ‘ascari’, durante la guerra per la conquista dell’Etiopia. Italo Fasolo – che per solennizzare il suo ingresso nel futurismo, cambiò il proprio cognome in quello più poetico di Fasulo – e Corrado Forlin ebbero l’onore di esporre le loro opere anche alle Biennali veneziane. Tra gli aderenti al nuovo movimento artistico non mancavano personaggi di minor rilievo come lo scultore-ragioniere Oreste Trivellato, attore dilettante ed esperto di ipnotismo e il critico d’arte Onofrio Dainese che teneva ovunque conferenze sul futurismo.
Nel settembre del 1936 venne organizzata a Monselice la prima mostra futurista. Forlin espose un ritratto di D’Annunzio ed uno di Marinetti; Fasulo invece un quadro intitolato ‘Serenata’. Durante le manifestazioni era sempre presente la piccola Velia Mainardi, i cui disegni, molto probabilmente, “avevano poco a che fare con l’estetica futurista”.
Sulla mostra scrissero un po’ tutti gli intellettuali locali: da Giuseppe Dall’Angelo che espresse le proprie perplessità davanti alle opere di Fasulo e Forlin, a Italo Ravara che si batté per il “sano classicismo”. Il giornale “Il Veneto” ospitò una lunga polemica sul valore estetico del nuovo movimento artistico. Forlin, a quanti criticavano le loro opere, rispondeva seccamente, che “non è fra costoro che l’Italia imperiale aspetta il nuovo ideale estetico, che si attagli alla vita d’oggi”.
La mostra, comunque, ebbe un lusinghiero successo. Il prefetto venne a visitarla, assieme al federale padovano e all’ex-federale monselicense Paolo Boldrin. Il segretario del fascio Agostino Soldà comprò un busto di Mussolini eseguito dallo stesso Forlin, apprezzando “la sua sensibilità artistica e garantendo in tal modo il positivo giudizio del regime sull’iniziativa”. Marinetti, purtroppo, non poté essere presente: giunse a Monselice solo a dicembre per dare il suo appoggio agli artisti.
I provvedimenti contestati del Mazzarolli
Il 26 dicembre 1936, per contenere i costi, il podestà deliberò di ridurre il numero delle ostetriche: da tre a due. Giustificò la sua scelta con il fatto che, a seguito della “larga applicazione che viene fatta della legge sulla protezione della maternità, molte partorienti, con scarsi mezzi finanziari, preferiscono partorire all’Ospedale”. La riduzione fu fortemente contestata perché ledeva gli interessi dei medici locali. Le proteste furono molte, tanto che il 7 dicembre 1936 il podestà fu costretto a rassegnare le dimissioni. Ufficialmente furono giustificate per il “lungo periodo (un decennio) di podestariato” e, soprattutto, “per le enormi difficoltà economiche in cui si dibatteva il comune” … che, per quanto egli avesse fatto e facesse non era riuscito a superare. In verità a Monselice era contestato da tutti per la sua politica di contenimento delle spese pubbliche.
Il prefetto non accettò le sue dimissioni, anche perché non aveva trovato nessuno che potesse sostituirlo senza alimentare ulteriori polemiche. Infatti il Mazzarolli era l’unico che riuscisse a contenere le diverse anime del partito fascista a Monselice. Molti politici erano dell’opinione che “un altro, al posto suo, non avrebbe certo potuto fare di più e meglio”.
Il Mazzarolli andava particolarmente fiero di aver avviato molte opere pubbliche senza contrarre nuovi mutui, riuscendo anche a pagare debiti fatti dalle precedenti amministrazioni per un valore di 544.000 £. Una sua nota riservata inviata il 28 dicembre 1937 al vice segretario comunale Valerio ci fa intravvedere il suo carattere e chiarisce la sua azione politica:
<< Venerdì prossimo nel fissare l’ora della seduta della consulta ( la Giunta comunale di oggi) bisogna badare che essa abbia luogo in modo da non accavallarsi con l’adunata dei dipendenti comunali. Se la Consulta è alle 11 l’adunata bisognerebbe che fosse alle 11 e tre quarti. Questa (la Consulta) in un quarto d’ora la si sbriga; quella richiede più tempo perché nessuno, o ben pochi dipendenti, saranno puntuali!
Oggi all’ECA c’erano molti operai che chiedevano lavoro. Alcuni mi diedero il nome che scrissi su un pezzetto di carta che al momento buono non trovai più. Ne richieda i nomi e poi veda che siano assunti dall’Ufficio tecnico: fosse anche per una sola giornata. Potrebbero, ad esempio zappare intorno ai tronchi dei pioppi del campo della fiera vicino alle mura; quegli alberi vengono su stentati, ma una zappatura seguita da una buona concimazione li gioverebbe assai. C’è quel pino presso la stazione ferroviaria che implora un qualsiasi aiuto; ci sono vicini lì vicino degli alberi morti che potrebbero venir tolti. Son lavori che potrebbero fare degli stradini; ma se li si affida a dei disoccupati non sarà niente di male. Bisogna prepararsi fin d’ora al lievo della prossima neve, così da non essere presi alla sprovvista. Come si devono pagare gli spalatori? E’ possibile corrispondere ad essi una paga ridotta? A tale proposito si potrà sentire il comm. Carturan. Scopo è quello di far lavorare la gente per più tempo allo stesso prezzo […].
Al giornale “il Veneto” si potrà dire più o meno così: dal 1923 il Comune si dibatte in una situazione economica penosa costituitasi principalmente a causa di bilanci per più anni formati senza tener conto delle reali entrate e delle reali spese. Si formò una situazione caratterizzata dalle cifre seguenti: scopertura di cassa 37500 £.; debiti e disavanzo 260.000 £.; mutui 2,400.000 £. (Questi sono i dati nell’aprile del 1927); se in epoca anteriore fossero stati peggiori converrà citare quelli). Principale preoccupazione dell’amministrazione podestarile fu quella di risanare le finanze. A ciò si è giunti dopo 12 anni di economie pazienti, oculate e noiose; guardando in faccia la realtà e non mascherandola con pietose e dannose bugie. Quest’anno finalmente il conto chiederà in pareggio e pareggio vero non attenuto con artifici contabili che se possono mascherare una situazione pesante la aggravano e la peggiorano.
Gli sforzi tesi ad ottenere questo scopo principale non hanno impedito che venissero compiute opere pubbliche che però costarono una somma di fatiche nel finanziamento assai maggiori che se i mezzi fossero stati facili ed abbondanti.
(E qui si potrà citare qualche cosa, magari gonfiando l’ elenco con lavori fatti l’anno scorso!).
Sarà bene dire anche che le economie non hanno impedito al Comune di far fiorire (passi la parola) le opere di assistenza. Si potrebbe credere che tante economie fossero state fatte alle spalle dei bisognosi: invece si dica che per spedalità si spesero oltre £ 200.000 £. per ricoveri di vecchi o bambini abbandonati, £ 74.000 per assistenza sanitaria a domicilio.
Case popolari dell’Ente autonomo: opere costruite senza aver avuto aiuti di sorta da nessuno, tolti i prestiti fatti dalla locale Soc. di Mutuo soccorso ed i sussidi del Comune.
Mi duole non aver assistito alle nozze del Dal Bosco (segretario comunale). Ma bisognava fare una levataccia ed io non ho animo eroico![…]>>.
Situazione di Monselice tratta da giornali del tempo.
Sul finire degli anni ’30 del secolo scorso Monselice, dopo Padova, era il Comune, per estensione e per popolazione, più importante della Provincia, con una popolazione di circa 17 mila abitanti. L’economia era essenzialmente basata sull’agricoltura ed era il centro di un fiorente mercato di frutta ed ortaggi. Molto stimate erano le cantine dove si lavorava il vino. Famose erano le pesche che venivano spedite in tutta Italia. Si tenevano 2 mercati settimanali con notevole frequenza di ambulanti. Un giornalista, il 17 maggio 1939, così lo descriveva:
<<Il maggiore mercato settimanale svoltosi ieri nella nostra città è riuscito animatissimo fin dalle prime ore. Abbondanza di merci esposte, in special modo di verdura, i cui prezzi tendono al ribasso. Bellissimo il mercato dei suini, del pollame, dei pulcini; ricco il mercato del pesce. Moltissima l’affluenza di popolo da tutti i comuni circonvicini. Numerosissime le trattazioni, tutte conclusesi felicemente. Ottimi nel vero senso della parola gli affari. In meno di due ore tutta la merce del mercato di frutta e verdura fu venduta: piselli, sia di monte che di orto, ciliegie, asparagi, carciofi, insalate e fragole>>.
Nella città avevano sede la reale pretura, l’ufficio distrettuale delle imposte dirette, il catasto, gli uffici del registro, delle poste, del telegrafo e del telefono. Vi era una sezione dell’ispettorato agrario provinciale e ben quattro istituti di credito: la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, la Banca Cattolica del Veneto, la Banca Cooperativa Popolare e la Banca Antoniana.
Molto sviluppata era l’industria delle cave di trachite e quella dei dolciumi, con uno stabilimento che era certamente il più importante del suo genere nelle tre Venezie. Tra le altre industrie importanti ricordiamo una fabbrica di conglomerati cementizi, una di stuzzicadenti, di imballaggi per frutta, dell’enocianina (un colorante naturale ottenuto dall’uva rossa) e della calce.
I trasporti avvenivano per ferrovia o tramite il porto fluviale, accessibile anche ad imbarcazioni fino a 100 tonnellate di stazza. Il Bisatto favoriva il movimento delle merci e specialmente della trachite che raggiungeva il porto di Venezia.
L’ospedale civile, dedicato a Vittorio Emanuele III, aveva una capacità di 218 posti letto, con una completa attrezzatura per tutte le principali forme morbose ed erano in corso i lavori per l’allestimento di un reparto per malattie mentali con 120 letti.
La casa di ricovero per vecchi e bambini ospitava fino a 100 persone. L’assistenza ai fanciulli era affidata all’asilo infantile Tortorini, mentre i più piccoli erano ospitati nell’asilo nido gestito dall’ONMI (unico nella provincia), mentre la colonia agricola “Giorgio Cini” addestrava nei lavori agricoli un centinaio di fanciulli bisognevoli di assistenza.
L’ordine dei frati minori aveva un Istituto missionario frequentato da una cinquantina di studenti liceali. Numerosi erano i collegamenti del convento di San Giacomo con il vicariato di Hankow (Cina) e perfino con il lebbrosario di Mosimien (Tibet).
L’istituto delle Sorelle della Misericordia aveva costruito un collegio per l’istruzione secondaria delle giovanette, oltre ad un pensionato per signore prive di parenti.
Le strade interne erano in buona parte asfaltate e la pubblica illuminazione realizzata con un modernissimo impianto in serie.
Le scuole elementari esistevano in tutte le frazioni, in edifici di recente costruzione, mentre nell’ex ospedale civile era stata istituita una reale scuola secondaria di avviamento professionale. C’era una scuola serale di disegno d’arti e mestieri, frequentata da oltre 30 operai alla quale il comune corrispondeva ogni anno un contributo di 1.000 £. Era attivo un patronato scolastico che seguiva oltre 2.100 scolari, al quale il comune corrispondeva annualmente 7.700 £.
Il servizio sanitario era assicurato da tre medici condotti e due ostetriche che potevano contare su tre farmacie.
Il Municipio era diretto da un segretario capo, da un vice segretario con due applicati e un dattilografo; l’ufficio di ragioneria contava sulla disponibilità di un ragioniere e di un economo; l’ufficio tecnico era composto da un ingegnere e da un assistente tecnico, mentre nell’ufficio demografico lavoravano tre impiegati.
Gli ospiti e i turisti potevano trovare ospitalità presso l’albergo Stella d’Italia che aveva 8 stanze con 3 letti. Sette erano le locande: Al Cavallino (9 stanze con 15 letti), Alla Rocca (5 stanze con 8 letti), Canola (1 stanza con 3 letti), Due Mori (2 stanze con 4 letti), Giurin (4 stanze con 5 letti), Paradiso (4 stanze con 5 letti), Trieste italiana (2 stanze con 4 letti).
Le insufficienze organizzative del Comune
Tra le carenze, ricordate spesso dal podestà, venivano citate oltre alla scarsa attenzione del Comune verso le opere e istituzioni del regime (Balilla, Ente opere assistenziali), la mancanza di un campo sportivo e la situazione economica delle congregazioni di carità che “gareggiavano in povertà col Comune”. Tre vigili urbani dovevano bastare per 17.000 abitanti. Oltre ai normali servizi, i vigili sorvegliavano il mercato – che era il maggiore della provincia – e disciplinavano “il grande movimento automobilistico che vi era a Monselice”.
Ma il maggior problema riguardava la mancanza dell’acqua potabile. Il 26 giugno 1938 il podestà comunicava alla direzione della sanità militare che “l’approvvigionamento idrico era fatto per la maggior parte utilizzando comuni pozzi in muratura e artesiani. L’acqua non era potabile ovunque […] e c’era qualche caso di tifo”.
© 2025 a cura di Flaviano Rossetto
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