Monselice 1942. La rivolta delle donne

Cap. VI

ANNO 1942. LA RIVOLTA DELLE DONNE

fa parte del libro

Monselice nella seconda guerra mondiale. Storie di soldati di donne e di partigiani dalla monarchia alla repubblica, disponibile in formato PDF  [clicca qui…]

 


 

Il nuovo anno si aprì con la nomina di Bruno Barbieri a segretario del fascio e la riconferma del nucleo storico dei camerati monselicensi costituito da Verza Antonio, Turetta Carmelo, Boldrin Luigi, Rizzati Riccardo, Morra Scipione e Giacometti Ottorino. Il primo  incarico pubblico fu la partecipazione alla consueta ricorrenza della “Befana fascista”, che si svolse presso la “Casa della Giovane Italiana”, in via Garibaldi. Durante la sobria cerimonia furono distribuiti i tradizionali “pacchi ai figli dei camerati richiamati più bisognosi”.

I problemi alimentari diventarono sempre più assillanti, tanto che la razione di carne venne ridotta a 100 grammi, con osso, alla settimana per tutti. Sempre più spesso il podestà  sollecitava il consorzio agrario provinciale affinché assegnasse il prescritto quantitativo di alimenti, ma già da diversi mesi  i negozi di Monselice erano sprovvisti di tutto.

Il comune, con frequenza giornaliera, sollecitava la popolazione a limitare i consumi  organizzando apposite conferenze sull’alimentazione. Ma anche il pane mancava, durante la guerra non venne interrotta all’attività dell’istituto germanico padovano che organizzava corsi di tedesco per tutta la popolazione. Tuttavia, già dal mese di dicembre 1942, furono attivati corsi ‘speciali’ per insegnare come difendersi dai bombardamenti, mentre i giornali  presentavano un ‘rivoluzionario’ aereo italiano che avrebbe abbattuto tutti i caccia nemici e risolto ogni problema per le città.

 Altri soldati italiani in Russia

Da gennaio a marzo del 1942 il fronte russo venne potenziato con nuove unità; tra i militari monselicensi partiti per la guerra in Russia ricordiamo Turato Gelsomino del 6º reggimento bersaglieri e Gasparello Carlino del 120º reggimento artiglieria, mentre Rizzato Guglielmo e Sabello Guerrino sarebbero partiti a giugno, inquadrati nella divisione alpina “Julia”. Hitler riteneva che la conquista di Mosca avrebbe comportato una grande perdita di tempo e ordinò ai suoi generali di attaccare Stalingrado. In maggio l’esercito tedesco marciava, già oltre il Don, verso il Volga alla volta del Caucaso. I russi, che dal primo luglio avevano sostituito la strategia dello spazio aperto con quella della strenua difesa di ogni palmo di terreno, subivano continue sconfitte.

 

La battaglia del grano a Monselice

Anche a Monselice ebbe luogo la cosiddetta “battaglia del grano”. Avviata prima dell’entrata in guerra, la ‘pacifica’ battaglia consisteva in una lunga serie di iniziative pubbliche, spesso plateali, accompagnate da una frenetica campagna propagandistica presso gli agricoltori allo scopo di raggiungere l’autosufficienza nella produzione dei cereali. L’obbiettivo fu in buona parte raggiunto e già alla fine degli anni ’30 la produzione di grano era aumentata del 50% e le importazioni si erano ridotte di un terzo, rispetto a quindici anni prima.

Nel luglio 1938 la commissione granaria provinciale effettuò un controllo sulla produzione del grano nella zona del monselicense. I tecnici  misero a confronto due terreni di uguale misura appartenenti a ditte diverse. Ecco i risultati finali: un ettaro di terreno coltivato a grano dall’azienda Trieste produsse 61,93 quintali di grano, mentre quello individuato presso l’azienda Antonio Bertin, nel comune di Pernumia, ne realizzò un po’ meno, 61,81 quintali.

Frequenti furono le riunioni promosse all’ispettorato agrario durante le quali Guido De Marzi, capo dell’ispettorato provinciale dell’agricoltura, insegnò agli agricoltori le tecniche per aumentare la produzione di grano, mentre Gino Brigato, ispettore agrario di Monselice, presentò un nuovo “sarchio arieggiatore”, una macchina utilissima per zappare e rincalzare frumento, bietole e granoturco.

Numerose le gare e i premi agli agricoltori più produttivi. Il 18 gennaio 1939 ad esempio, Giuseppe Carteri residente in via Matteo Carboni 3, ricevette a Roma dalle mani del Duce il premio per aver vinto la gara provinciale del grano.

Neppure i parroci si sottraevano alla competizione e ad essi era dedicato il “Concorso Nazionale del Grano tra Parroci e Sacerdoti”. I religiosi meno attivi furono invitati dal periodico “Italia e Fede” ad indire il sacro inno del Te Deum per propiziare un buon raccolto del grano, peccato però che al termine della funzione religiosa i buoni sacerdoti dovevano “richiamare gli agricoltori al dovere dell’ammasso totalitario dei cereali”.

L’ordine del Duce di seminare il grano sulle piazze e cortili venne prontamente attuato dal podestà Mazzarolli che fece mettere a raccolto perfino il campo sportivo di Monselice, ricevendo per questo un telegramma di elogio dal Duce. Il prefetto, soddisfatto dall’operato del podestà, consigliò di effettuare la “trebbiatura del grano cresciuto sul campo sportivo, sulla piazza principale” per pubblicizzare l’evento. Il 25 giugno 1942 il podestà organizzò la festa della trebbiatura utilizzando il grano coltivato nel cortile delle scuole elementari di via Garibaldi, alla presenza di tutte le alte cariche del partito. Complessivamente furono ricavati 10 quintali di frumento e nel secondo raccolto 10 quintali di granoturco. Ma l’anno successivo il segretario del Fascio gli chiese di ripristinare il campo sportivo “per andare incontro al desiderio espresso dalla non trascurabile massa sportiva di Monselice”. Evidentemente pochi quintali di grano non erano bastati ad arginare le lamentele dei camerati sportivi che avevano bisogno di uno spazio adatto per effettuare le grandi adunate ginniche del partito.

Nel mese di giugno i giornali diedero gran risalto alla mietitura: “Il grano di quest’anno [1942] ci darà la vittoria definitiva”, oppure: “Freme il lavoro di mietitura in tutte le campagne monselicensi”, ricordando a “tutti gli agricoltori di compiere il loro dovere conferendo il grano all’ammasso”. Tra le fattorie monselicensi quella di Angelo Zambon ebbe l’onore di finire fotografata sul Gazzettino, assieme a un articolo che illustrava l’attività delle camicie nere sul Don.

Nel 1939 il conferimento (ammasso coatto) del grano avveniva presso 3 magazzini monselicensi. Il più capiente era quello di Gio.Batta Businaro, situato in via Avancini: da solo poteva contenere quasi 2.000 quintali di grano; quello del marchese Antonio Buzzacarini di via San Giacomo aveva una capacità di 1.000 quintali e il più piccolo era quello di Amelia De Rossi, situato alla Vetta, con capacità di circa 800 quintali.

Tanto interesse per il grano coinvolse anche il pittore futurista Corrado Forlin che dipinse  un fortunato quadro intitolato appunto “La battaglia del grano”.

 

Monselicensi prigionieri degli inglesi, francesi e russi

Iniziava intanto l’angoscia per molte famiglie che avevano congiunti o parenti al fronte, moltissimi furono i soldati fatti prigionieri sui campi di battaglia. Approfondite indagini chiariscono che i prigionieri italiani, in mano inglese, furono 300.000; 37.000 erano sotto i francesi; 50.000 furono portati prigionieri negli Stati Uniti e 20.000 in Russia.

Riportiamo, tra le molte arrivate in comune, alcune lettere che indicano anche i luoghi di prigionia dei nostri concittadini. Il 22 gennaio arrivò la notizia che Silvio Bologna, arruolato nel corpo della polizia in servizio presso l’Africa italiana, era “stato tratto prigioniero dal nemico” a Bengasi. Il 24 gennaio il comando della 2^ zona aerea territoriale di Padova informò il podestà che il sergente pilota Melanio Baldon risultava prigioniero dal 6 aprile 1941 in Kenya. Il 30 marzo la famiglia di Marni Giuseppe, abitante in via F.lli Fontana, ricevette una lettera del figlio Pietro nella quale precisava che stava bene, ma era prigioniero di guerra nel campo di concentramento n. 310, situato in Egitto. Il 6 maggio 1942 il comando del Sahara Libico di Tripoli informò la famiglia di Umberto Barin, abitante in via Campestrin 107, che il figlio era stato fatto “prigioniero del nemico nel fatto d’armi del 1° marzo 1942”. Il 24 agosto Ercole Voltan, caporale maggiore presso il 32° regg. carrista, classe 1922, risultava prigioniero di guerra. Italo Quagliato, il 7 dicembre 1942, scrisse ai famigliari:

<<Carissimi mamma e papà con molto ritardo vi giungono mie notizie […]  ma  il 6 novembre scorso fui fatto prigioniero. Io sto bene e mi trattano bene ma spero che la salute non manchi […] fatelo sapere anche a Vittorino e Silvio di questa mia prigionia. Avrei grande desiderio che tu mi inviassi un pacco, informatevi alla posta se si può inviare ai prigionieri di guerra. Inviatemi  10 di africa (sigarette) con 5 pacchetti di tabacco forte e 5 di dolce con le cartine, cioccolato, torrone e marmellata facendo il totale di 5 kg di roba. Ringraziandoti, abbraccio fratelli e sorelle accompagnato un caro bacione a te papà tuo affezionatissimo figlio >>.

Nonostante tutto, la fiducia per la vittoria finale non veniva meno e anche il Mazzarolli, il 16 giugno 1942, fece verbalizzare nel registro della consulta che:

 << le recentissime vittorie aeronavali e terrestri ottenute in questi giorni in Africa settentrionale dalle nostre eroiche armate di terra, di mare e del cielo, hanno una portata senza precedenti […] rivolgendo un pensiero di commossa fierezza ai caduti e d’un grato pensiero di riconoscenza a quanti combattevano aspramente contro l’odiato nemico per il conseguimento di quella vittoria necessaria per la salvezza della civiltà europea >>.

 Ma i fatti bellici di quei giorni smentirono subito le speranze del podestà e di molti italiani che pensavano in una rapida vittoria a fianco dei tedeschi.

 

Morte del Duca d’Aosta e la richiesta di intitolargli la scuola media

Il 3 marzo 1942 un telegramma della prefettura annunciò la morte, per malattia, del Duca d’Aosta e ordinò la sospensione degli spettacoli pubblici e di esporre la bandiera a mezz’asta. Il Duca d’Aosta nella primavera del 1941 fu travolto dall’avanzata degli inglesi nell’Africa Orientale Italiana e costretto a rifugiarsi sulle montagne etiopi con 7.000 uomini. Lo schieramento italiano venne ben presto stretto d’assedio dalle forze del generale Cunningham (39.000 uomini) e costretto ad arrendersi ai britannici. Amedeo fu fatto prigioniero e trasferito in Kenya, dove mori di malaria.

L’anno successivo la direttrice della scuola secondaria per l’avviamento professionale prof.ssa Ferrai comunicò al podestà che, al termine della cerimonia durante la quale si era ricordata la figura eroica del Duca Amedeo d’Aosta

 << I miei ragazzi espressero unanimi il desiderio che la loro scuola possa essere intitolata al nome caro ed augusto Duca Amedeo. Ed un tale desiderio ho poi trovato ripetuto sulle lavagne di tutte le classi accompagnato dalla promessa che, se il desiderio sarà accolto, studieranno di più. Al desiderio fervido ed entusiasta degli alunni si unisce con eguale fervore, ma con più cosciente dedizione il voto degli insegnanti. Io Vi prego quindi di voler acconsentire a che tale desiderio e tale voto possano essere soddisfatti. Non si tratta certo di mancare di riguardo alla memoria di Giacomo Zanellato, a cui è ora intitolata la scuola; ma si tratta di dare a questa un nome che, aderendo alla presente realtà fascista ed alla millenaria tradizione dinastica, parli più vivo e più profondo all’animo di questi ragazzi. Anche il nome ha nella scuola efficacia educativa; ma bisogna per questo che sia un nome di vivo risalto >>.

 

Rispose il podestà:

 << Ho molto apprezzato i lodevolissimi sentimenti di patriottismo e di devozione a Casa Savoia che avete espresso. Apprendo anche con piacere che tali sentimenti avete saputo infondere e coltivare nei Vostri alunni che già li manifestano in modo encomiabile. L’eroica, indimenticabile figura del Duca d’Aosta, la cui sfortunata sorte ha tanto commosso tutti gli italiani è già ricordata in altro istituto cittadino e precisamente nella Casa dell’Assistenza di recente costruzione. Mi dispiace, quindi, di non poter aderire al nobile desiderio Vostro e della scuola tutta. Quantunque lo ritenga superfluo, non posso non ricordare come anche il Colonnello Giacomo Zanellato sia, nell’ambito monselicense, una figura di primo piano, la cui vita eroica è pure altamente educativa >>.

 

Anche i frati di San Giacomo hanno i loro problemi

Continuavano i problemi alimentari per i monselicensi. Il 31 marzo il podestà ordinò alla latteria di Ferruccio Sanguin “di fornire giornalmente alla colonia Cini 30 litri di latte intero di vacca, con precedenza su qualsiasi altra fornitura”, mentre il Comune autorizzò la spesa di  900 £. per l’assunzione temporanea di tre impiegati per agevolare l’applicazione del decreto ministeriale che ordinava la consegna forzosa dei cereali allo Stato. Si trattava infatti di schedare gli oltre 1.500 agricoltori che  producevano grano e invitarli a consegnare il prodotto negli appositi centri di raccolta con l’aiuto (?) dei carabinieri e il sostegno dell’ispettorato provinciale.

Nel mese di aprile venne abolito il sistema dei prezzi dei generi alimentari fissato dallo Stato, ma questo causò altri problemi. Il 10 aprile 1942 il Mazzarolli scrisse al prefetto:

<< Mentre l’abolizione del prezzo di calmierato ha fatto ricomparire frutta che prima non si trovava più, l’ha però portata a prezzi talmente alti da indurre chi dispone di pochi mezzi ad apprezzamenti che non sembrano ingiustificati. Mele a 12 £. al chilo; fichi secchi a 16/20; castagne secche 20 £.; patate americane a 8 e via dicendo. Ora i prezzi di origine, quelli cioè corrisposti ai produttori sono noti a tutti; nulla giustifica un’altezza come quella che Vi segnalo; non le spese per la conservazione; non le spese di trasporto, ecc. Che un tale illecito arricchimento possa compiersi è doppiamente rattristante perché, mentre colpisce la popolazione che con l’uso della frutta potrebbe sopperire, almeno in parte, alle attuali deficienze alimentari, è fatto senza che neppure ci sia rischio o pericolo da parte dell’esoso trafficante. Almeno io non so che provvedimenti prendere >>.

 

Tra i molti monselicensi che chiedevano aiuto alle istituzioni pubbliche, singolare è stata la richiesta inviata dai frati del convento francescano di Monselice. Il 17 aprile 1942  chiedevano al podestà un po’ di cuoio per riparare i loro sandali e le scarpe degli oltre 60 studenti liceali che frequentavano il seminario. Evidentemente la millenaria pratica della “carità”, data la guerra in corso, non era in grado di far leva sui fedeli per reperire neppure un po’ di cuoio per riparare i sandali dei buoni seguaci di san Francesco.

Anche il vino diventa introvabile. Il 26 maggio il podestà informò la sezione provinciale per l’alimentazione di Padova che molti consumatori non riuscivano ad acquistare il vino presso le locali osterie. Gli osti, da alcuni giorni, si rifiutavano di vendere il vino per asporto, preferendo il più remunerativo consumo diretto nelle loro osterie. Sentiti sull’argomento, si giustificarono asserendo che l‘assegnazione del prezioso nettare fatta dallo Stato era insufficiente.

 

L’Italia manda altre truppe in Russia: nasce l’Armir

Mussolini, nel giugno 1942, nonostante il parere contrario del comandante delle truppe italiane, inviò nuovi soldati in Russia nella convinzione che “al tavolo della pace peseranno assai più i 200 mila della nuova armata che i 60 mila del CSIR già inviati in Russia”.

Così il 9 luglio del 1942 partirono per la Russia altre unità italiane, che insieme alle prime presero il nome di ARMIR, al comando del generale Italo Gariboldi. In totale 229 mila uomini, male attrezzati e quasi privi di mezzi. Gli italiani furono dislocati lungo il fiume Don con il compito di lanciarsi alla conquista di Stalingrado, mentre altre divisioni tedesche sarebbero avanzate verso il Caucaso. La notte del 24 agosto 1942 avvenne il celebre assalto del “Savoia Cavalleria” nella steppa di Isbuscenskij. Alcune truppe sovietiche si erano portate pericolosamente vicine agli acquartieramenti del Savoia. Avvistate da un reparto in perlustrazione, fu dato l’allarme e il colonnello Bettoni, comandante del reggimento, ordinò al 2° squadrone di andare all’assalto. Si seppe in seguito che seicentocinquanta cavalieri italiani si erano scontrati contro duemila siberiani, respingendoli.

 

La ricorrenza di San Sabino

Il 2 giugno 1942 mons. Gnata invitò il podestà a partecipare alla festa di san Sabino fissata per il 6 giugno nella chiesa di San Paolo. Alla funzione religiosa avrebbe partecipato anche la nobile famiglia dei conti Miari di Sant’Elena che, da secoli, custodiva la chiave della cassetta che conteneva il presunto corpo del santo. San Sabino era il santo protettore di Monselice e in suo onore veniva fatta, a partire dal 1630, una solenne processione. Ma con la guerra il culto si spense per sempre.

 

La centrale futurista delle aeropoesie di guerra

Il 25 giugno 1942 Marinetti inaugurò a Monselice la centrale futurista per la distribuzione di aeropoesie di guerra ai combattenti “di terra, mare, cielo”. Le composizioni inviate al fronte, “incontrarono – secondo il cronista del Gazzettino – nobili consensi in quanti avevano avuto modo di leggerle”. Anima del gruppo era il pittore Corrado Forlin, che aveva partecipato a ben undici mostre di aeropittura di guerra. “La sua attività – scriveva il critico Poleni –  è volta a valorizzare un’arte – vita”. All’inaugurazione non presenziò il podestà Mazzarolli, ma qualche giorno dopo si scusò con Marinetti:

<< Sono stato assai dispiacente di non aver saputo della vostra venuta a Monselice così da poter essere presente all’adunata del Gruppo Futurista Savarè. Voglio sperare di essere più fortunato quando vorrete ancora una volta a onorare Monselice della vostra presenza >>.

 

Il 23 luglio 1942 Forlin scrisse al  Mazzarolli :

<< Immagino sarete lieto della nostra iniziativa che dà a Monselice un primato di patriottismo e di modernità. Marinetti ha esaltato alla radio la nostra attività che Vittorio Bacigalupi, comandante della corazzata “Littorio”, ha premiato con queste parole. “Le belle iniziative sono sempre da esaltare. La Vostra distribuzione di aeropoesie di guerra a combattenti è particolarmente ardua perché i combattenti questa aeropoesia la vivono e la sanno fino alle sfumature più sottili, anche se sono intenditori finiti e difficili. Ma il Vostro ardentismo verrà certamente a capo delle fatiche e nascerà ancora un canto per gli eroi che sia degno di loro […]

 

Qualche giorno una nuova lettera al podestà:

<< Da Monselice i miei giovani amici futuristi mi chiedono continuamente mezzi per l’acquisto di carta da ciclostile necessaria alla riproduzione delle liriche. Anche a nome dei miei amici, Vi prego di vedere se potete aiutare la nostra fatica. Ci accontentiamo di 5 o 6 risme di “carta riso” formato quadretta. Vi ringrazio anticipatamente con il mio augurio veloce Prestovincere. Forlin >>

 

In verità il podestà tollerava appena la presenza dei futuristi a Monselice e pure i fascisti locali non li vedevano di buon occhio.  Il 29 luglio 1942 Forlin fece presente al podestà che anche il conte Vittorio Cini aiutava “la nostra patriottica iniziativa della distribuzione dell’aeropoesia ai combattenti per la quale il Prefetto di Padova e quello di Perugia hanno inviato al nostro indirizzo espressioni di ammirato elogio” e concludeva con una nuova richiesta:

 << Ignoro la ragione che ha spinto il segretario del Fascio di Monselice a negarci ulteriore ospitalità nei locali della casa del Fascio. E’ chiaro. Noi non ci fermeremo né rallenteremo la nostra attività che nell’attuale momento assume altissima importanza spirituale. A nome dei futuristi del gruppo Savarè Vi prego di esaminare benevolmente la possibilità di concederci (magari provvisoriamente) un locale per il nostro lavoro. Sarebbe comodo per noi quel locale sfitto che si trova sotto il Municipio (a sinistra dell’Uff. Guardie Municipale).  Vi saluto con la veloce parola augurale –  PRESTO VINCERE >>.

 

La tenacia del Forlin, alla fine, fu premiata nonostante l’indifferenza dei fascisti locali e ai primi del mese di settembre 1942, in via Cesare Battisti, venne inaugurata la nuova sede della centrale futurista. Secondo Forlin alla nuova sede “arrivarono numerose adesioni con i nobili consensi da tutti i fronti anche da umili soldati che ringraziarono i componenti dell’ardente gruppo Savarè per l’invio delle poesie al fronte”. Purtroppo non siamo riusciti a rintracciare nessuna poesia prodotta a Monselice. L’attività poetica si interruppe poco dopo la partenza dei giovani poeti per il fronte. Molti morirono, gli altri furono derisi dalla popolazione dopo la disfatta italiana su quasi tutti i teatri di guerra.

 

Il ritorno dalla Libia

Le forze dell’Asse, nel tentativo di conquistare l’Egitto, raggiunsero El-Alamein il 30 giugno 1942 al comando del generale Rommel. La località, tristemente nota, costituirà il luogo dove inizierà la disfatta per gli eserciti dell’asse determinata, tra l’altro, all’arrivo di consistenti forze inglesi e americane. Il cambiamento delle sorti della guerra costrinse il governo italiano a sospendere le partenze dei nostri connazionali che già da alcuni anni andavano a lavorare in Libia. Proprio in quei giorni il Ministero dell’Africa Italiana informò Teresa Ermini e Lidia Maritan che erano state sospese tutte le partenze per la Libia di donne, vecchi e bambini. Anzi iniziò il ritorno in patria di molti italiani, traditi dalla propaganda fascista che qualche anno prima li aveva illusi. In Libia gli italiani avevano costruito strade, città e iniziato “a coltivare perfino il deserto”.

Anche molti dipendenti comunali furono richiamati alle armi. Ne citiamo i nomi per malcelato spirito corporativo: Mineo Silla (ragioniere), Trivellato Oreste (economo), Marchesin Anselmo (impiegato all’anagrafe),  Franchin Antenore (portiere e dattilografo), Pertile Antonio (guardia comunale), Gusella Cesarino (stradino), Bernardini Antonio (stradino), Salvan Emilio (custode cimitero) e Coin Luigi (medico condotto).

 

Dolci e gelati: un piacere proibito durante la guerra

Nel frattempo un telegramma del Ministero dell’Interno disponeva che “a difesa pubblica salute sia ovunque vietata vendita ambulante dolci e gelati”, rattristando certamente golosi e bambini. Il poco latte e zucchero disponibili dovevano essere utilizzati senza sprechi. Il divieto di fare i gelati resterà in vigore anche nel primo dopoguerra. Il 4 luglio 1942 il podestà informò il prefetto dell’aggravarsi “dei problemi alimentari di tutta quella parte di popolazione:

<< Si  distribuisce carne (un etto, con osso, per persona) una volta ogni tre settimane; la razione di grassi suini per il mese di giugno non è stata effettuata; il pesce non giunge più; il baccalà non è venduto da oltre tre mesi mentre gli insaccati sono stati distribuiti una sola volta. Questo complesso di cose crea uno stato di disagio non lieve per tutta quella parte di popolazione che deve comperare tutti i generi alimentari. In particolare, per quanto riguarda la distribuzione della carne e quella dei grassi, prego nel modo più vivo Vostra Eccellenza volersi compiacere di adottare i provvedimenti che crederà atti a contemperare la situazione >>.

 

Vittime monselicensi in guerra

Continuavano ad arrivare alla sede municipale tristi notizie dai fronti di guerra che alimentavano il cordoglio pubblico e la pietà dei familiari e parenti. In alcuni casi era il ‘partito’ che si faceva carico dei funerali, spesso però erano i parroci che provvedevano ad organizzare l’ultimo saluto.

Il 27 aprile, ad esempio, il segretario politico del fascio Antonio Verza invitò la cittadinanza a partecipare ai funerali del tenente Stefano Favaro de Favari, paracadutista, deceduto in un incidente. “La Vostra partecipazione – raccomandò il segretario ai camerati – sarà di conforto ai parenti ed apporterà i nostri vivi sensi di cordoglio”.

Il 18 luglio Bruno Barbieri invitò il podestà a partecipare in Duomo alla funzione religiosa in suffragio del sottotenente Attilio Chiandussi, eroicamente caduto in terra croata:

<< Il  Chiandussi ha dato per parecchio tempo la sua appassionata opera di dirigente di reparti giovanili di Monselice: deve essere degnamente ricordato da tutti >>. 

 

Il 6 luglio 1942 il prefetto Vittorelli inviò al podestà di Monselice un assegno di 1000 £. da recapitare alla famiglia del militare scomparso Bruno Baccarin. Nella nota il prefetto raccomandò:

<<La consegna dovrà, con opportune parole, essere fatta da Voi personalmente al Sig. Baccarin Lorenzo padre del militare anzidetto, al quale vorrete esprimere i sentimenti di simpatia e di solidarietà della Nazione>>.

 

Il 22 luglio il podestà scrisse al cappellano militare dell’ospedale da campo di Ottocac (Croazia):

<< Si è diffusa la notizia che il giorno 17 giugno sarebbe deceduto il centurione del 54° battaglione camicie nere Romolo Turra, la famiglia angosciata si è rivolta anche a me perché mi interessi ad appurare la veridicità della notizia >>.

Purtroppo il 1° agosto il cappellano militare don Paolo Bolzan confermò la notizia “della morte gloriosa sul campo del dovere” di Romolo Turra, assai conosciuto a Monselice. Il 25 luglio 1942 il comandate del deposito “Cipriano Bruttomesso” di Latisana scrisse al podestà di Monselice confermando la morte in combattimento del mitragliere Tranquillo Zampieri. Riportiamo il testo della lettera nel gelido linguaggio burocratico:

<< … con pacco a parte sono stati spediti al Vostro indirizzo, per il cortese recapito alla famiglia, gli oggetti personali appartenenti al militare suddetto. Affinché questo comando possa provvedere al pagamento della somma di £. 304, corrispondente a competenze maturate e non percepite dal militare in oggetto, e delle altre indennità previste dalle vigenti disposizioni, si prega di voler comunicare quali risultano gli eredi legittimi dello stesso >>.

Concludiamo riportando la notizia del 24 ottobre 1942 con la quale il podestà scrisse alla prefettura di aver consegnato gli effetti personali della CN Gaetano Babetto, deceduto in prigionia, alla vedova Antonietta Frezzato.

 

Sfollati da Fiume

Nei primi giorni del mese di agosto arrivavano a Monselice 10 persone provenienti dal Carnaro: fuggivano dagli orrori della guerra in Iugoslavia. Il questore avvisò il comune di accoglierli ed alloggiarli nel migliore dei modi, consigliando pure di impiegarli nei lavori agricoli. Secca la risposta del podestà:

<< Faccio presente che delle dieci persone, sette sono al disotto di 14 anni, un’altra è vedova con due figli di anni 4 e 2, ai quali deve attendere. Avverto che i dieci sfollati sono stati collocati in un piccolo appartamento composto da due locali assolutamente privo di qualsiasi mobilia. Per provvedere questa, come pur gli attrezzi da cucina nella misura più limitata occorre disporre di una certa quantità di denaro, subito. Le dieci persone mancano di biancheria sia personale che da letto, di stoviglie, etc. Anche a questo occorre provvedere con tutta sollecitudine, come pure bisognerà assegnare le carte d’abbigliamento con i sufficienti punti >>.

Il 7 agosto 1942 giungevano 20 profughi dalla Libia e altri 10 sfollati dalla Croazia. Ad essi, arrivati privi di tutto, “doveva essere fornita ogni cosa cominciando dalle lenzuola, materassi, vestiti, ecc.”, commentarono sconsolati i responsabili dell’assistenza comunale. Singolare la nota del 29 settembre 1942 con la quale il podestà trasmise alla questura la corrispondenza diretta agli sfollati croati perché fosse “revisionata”: a Monselice non c’erano funzionari che conoscessero la lingua croata.

 

L’assedio di Stalingrado e la perdita dell’Africa

Nel mese di agosto 1942 i tedeschi iniziarono l’assedio di Stalingrado convinti di poter occupare la città in pochi giorni, ma a novembre, dopo durissimi combattimenti strada per strada, casa per casa, i sovietici contrattaccarono riuscendo a respingerli. Anziché autorizzare la ritirata, Hitler ordinò la resistenza ad oltranza, sacrificando così un’intera armata che fu costretta ad arrendersi qualche mese dopo. Per i tedeschi quello di Stalingrado fu il più grave disastro militare dall’inizio della guerra; per i sovietici e per gli antifascisti di tutto il mondo fu invece il simbolo della ri­scossa: il segno più evidente della svolta intervenuta nel corso della guerra.

Negli stessi mesi un’altra decisiva battaglia fu combattuta ad El Alamein, a soli 80 chilometri da Alessandria d’Egitto. Nel mese di ottobre 1942 il generale Montgomery, comandante delle forze britanniche, lanciò una grande controffensiva contro l’esercito tedesco e italiano disponendo di una notevole superiorità in uomini e mezzi. Ai primi di novembre le forze dell’asse, al comando del generale Rommel, nonostante l’eroico sforzo dei nostri soldati, furono costrette a ripiegare.

Frattanto, nel novembre ’42, un contingente americano era sbarcato in Algeria e in Marocco prendendo tra due fuochi gli italotedeschi che dovettero arrendersi nel maggio ’43. Anche l’Africa era perduta. Una volta chiuso il fronte nordafricano gli anglo-americani potevano prepararsi ad attaccare l’Europa.

Numerosi i morti italiani, tra i deceduti ricordiamo il monselicense Dino Verza del 3° reggimento artiglieria celere “Centauro”, ucciso da un cecchino mentre usciva dalla torretta di un carro armato il 3 settembre 1942; venne sepolto nel territorio di Adamey (Africa settentrionale). Il 29 ottobre 1942 si tenne una solenne ufficiatura funebre nella chiesa di San Paolo alla quale partecipò tutta la città. Il Prefetto invitò il podestà ad informare “personalmente e con opportune parole il padre sulle tragiche circostanze che avevano determinato la tragica fine del figlio e ad  esprimere alla famiglia i sentimenti di simpatia e di solidarietà della Nazione”.

 

Le proteste delle donne

La mancanza di legna per cucinare e la revoca dei sussidi militari alle famiglie con militari al fronte facevano montare la protesta delle donne monselicensi. Il 9 agosto il capo dei vigili urbani Pietro Ietri scriveva al podestà informandolo che un gruppo di donne capeggiate da Vlaniri Barusco Teresa, Baretti Donato Giuditta, Formaglio Parolo Erminia, Bizzaro Vettorato Amalia e Uliana Elsa sollecitarono un intervento del comune affinché venisse individuato un fornitore in grado di vendere legna. Molte famiglie erano addirittura costrette a bruciare i vecchi mobili e gli utensili domestici per cucinare. Vittorio Rebeschini, il più importante commerciante di legna locale, ne era sprovvisto da tempo. Il 6 ottobre veniva interessato perfino il prefetto di Padova:

<< Segnalo la pressante urgente necessità di provvedere a questo Comune d’una sufficiente quantità di legna da ardere. E’ un continuo chiedere di combustibile necessario per il vitto. I 3.000 quintali di legna che consegnarono gli agricoltori rappresentano meno della metà di quanto s’ha bisogno tenuto conto che quella legna era umida >>.

 Naturalmente la legna veniva venduta al mercato nero o a prezzo maggiorato, come accertò il capo dei vigili. Tra i denunciati troviamo Giovanni Rodolfo Businaro, colpevole di aver venduto 100 quintali di legna a Francesco Fasolo e a Caterina Comunian al prezzo di 70 £. al quintale anziché 50, come stabiliva invece il listino in vigore. Il Businaro si giustificò dicendo che non conosceva la circolare prefettizia che fissava il prezzo di vendita. Per recuperla non mancarono i mezzi coercitivi. Significativo il seguente avviso affisso sui muri della città:

<< Tutti coloro che posseggono legna in quantità superiore ai 5 quintali, oppure carbone oltre 1 quintale, devono provvedere alla denuncia presso l’Ufficio tecnico comunale >>.

L’altro motivo che accendeva la protesta fu la revoca dei sussidi e in questo caso la protesta si trasformò in rissa. Il 21 agosto 1942 il  Mazzarolli scrisse preoccupato al prefetto.

<< Mi preme informarVi che stamane un gruppo di donne si sono presentate in Municipio per protestare contro la revoca dei sussidi militari di cui godevano come madri di chiamati o richiamati alle armi. Alcune sono uscite in minacce ed in generici apprezzamenti poco simpatici verso la Commissione che ha adempiuto al compito affidatole con larga comprensione delle necessità pur attenendosi alle disposizioni e norme impartite in argomento. Si dovette, mancando questo Comune di argomenti propri, chiedere l’intervento di due carabinieri che senza difficoltà fecero sgombrare il Municipio. Ora provvedo a fare ammonire le più eccitate >>.

Furono soprattutto le donne ad essere protagoniste a Monselice durante la guerra. Erano loro infatti a doversi ‘inventare’ ogni giorno qualcosa per sfamare la famiglia e far girare in qualche modo la stagnante economia locale, mentre gli uomini erano al fronte.

 

Manca perfino la farina per fare le ostie sacre

Il razionamento dei generi alimentari causò la penuria di prodotti ‘particolari’ e insospettabili. Questa volta a far sentire la propria voce fu l’arciprete di Monselice che sollecitò l’aumento del quantitativo di farina per impastare le particole utilizzate durante la santa messa. La cortese e singolare richiesta non poteva essere disattesa e l’8 settembre il podestà rassicurò mons. Gnata che :

<< la sezione provinciale dell’alimentazione ha provveduto all’assegnazione del quantitativo di farina mensile occorrente per la confezione delle ostie sacre per tutte le parrocchie della diocesi all’Istituto Figlie di S. Giuseppe >>.

 

Fra gli oggetti spariti dal mercato c’erano pure i copertoni per le biciclette. Il 17 settembre 1942  il podestà scrisse al prefetto.

<< Questo comune ha richiesto, in varie riprese e ripetutamente, buoni per l’acquisto di copertoni da biciclette per i propri dipendenti fra cursori e levatrici, senza che ne sia mai stato inviato alcuno. La mancanza della bicicletta ritarda gravemente il normale svolgimento dei vari servizi cui sono addetti i singoli dipendenti, per cui debbo pregare la R. Prefettura a voler sollecitare Ufficio delle Corporazioni l’emissione dei buoni richiesti >>.

 

Consumo di pesce a Monselice

Da una relazione, assai curiosa, del 2 ottobre 1942 apprendiamo i quantitativi mensili di pesce d’acqua dolce pescato nei canali locali. Gli zelanti funzionari calcolarono che ogni mese finivano nelle tavole dei monselicensi 200 kg di anguille, 80 kg di tinche, 50 kg di lucci e addirittura 280 kg di pescegatto. Quest’ultimo era, evidentemente, il pesce più comune nelle nostre acque, mancavano invece le trote e carpe.

 

Tutti gli uomini del Duce a Monselice

Interessante è la nota del 15 ottobre 1942 nella quale il podestà di Monselice comunicò al segretario politico del fascio i nominativi  dei monselicensi che coprivano cariche pubbliche: Mazzarolli Annibale (podestà), Carteri Giuseppe (consultore municipale, amministratore dell’istituto Bianchi Buggiani, presidente associazione mutilati e commissione distrettuale imposte),  Sigolo Augusto (consultore municipale e membro istituto case popolari), Altieri  Luigi (delegato podestarile, consultore, presidente dell’ospedale, membro istituto autonomo case popolari), Simone  Leonardo (delegato podestarile e membro commissione censuaria comunale), Nin Stefano (consultore), Rocca Enrico (consultore), Cellini Antonio (consultore) , Rebecchi Ing. Giorgio (consultore), Verza Prosdocimo (membro ospedale civile), Bordin Antonio (membro ospedale civile),  Barbieri Rag. Bruno (membro ospedale civile), Sanguin Giovanni (membro ospedale civile e commissione imposte comunali), Dal Din Carlo ( presidente casa di ricovero – membro commissione censuaria e fiduciario unione industria), Frizzarin Valentino (Membro Ammin. Casa Ricovero – Comm. Imposte Comunali), Businaro Rag. Rodolfo (Membro Ammin. Casa Ricovero – Fiduciario Unione Agricoltori),  Antenori Ing. Cav. Guido (giudice conciliatore), Farini dott. Primo (vice giudice conciliatore),  Sgaravatti Antonio (presidente O.N.M.I. – membro ist. autonomo case popolari. – presidente comm. imposte comunali),  Lupi Carlo (presidente istituto autonomo case popolari), Conterio Giuseppe (membro istituto autonomo case popolari – membro commissione imposte com.),  Milani Luciano (membro istituto autonomo case popolari), Geremia Dr. Antonio (delegato della C.R.I.), Faggiotto Giuseppe (membro commissione censuaria), Rocca Alfredo (membro commissione censuaria), Cattapan Elia (membro commissione censuaria), Zuccarello Luigi (commissione imposte), Greggio Gio Batta (commissione imposte comunale), Carturan Ing. Diego (commissione distrettuale Imposte), Boldrin Luigi (commissione distrettuale imposte dirette), Besa Pietrogino (fiduciario unione commercianti),  Parisotto Duilio          (fiduciario unione commercianti), Schiesari Angelo (associazione combattenti), Dainese Cesira (fiduciaria famiglia caduti in guerra), Valerio Antonio ( capo famiglie numerose).

 

Il prezzo del latte e il contributo alla chiesa di Monticelli

Ancora una volta il podestà intervenne a difesa degli agricoltori. Con una nota inviata al prefetto faceva presente l’opportunità di elevare il prezzo del latte per remunerare maggiormente i produttori.

 << Vado rilevando quasi quotidianamente una diminuzione della quantità del latte da consumo. Crederei convenisse aumentare di qualche poco il prezzo del latte portato a domicilio per esempio di 1,8 £ al litro. Occorre tener mente non solo alla scarsità del foraggio ma anche al prezzo che i produttori del latte debbono corrispondere per acquistare il foraggio. Si sa che il fieno è pagato a 200 £ il quintale >>.

La sezione provinciale per l’Alimentazione di Padova gli rispose che il prezzo del latte alla stalla era  fissato ‘razionalmente’ dalla competente commissione.

 

La visita del vescovo a Monselice

Il 30 novembre il podestà scrisse a mons. Gnata “Per alleviare per quanto possibile i tanti disagi di questi nostri fratelli vi chiedo in prestito delle vecchie sedie da assegnare agli sfollati provenienti dalle città colpite dalle incursioni aeree nemiche”.

In quei giorni il vescovo di Padova visitava le parrocchie monselicensi. Riportiamo il testo di una lettera inviata da mons. Gnata al podestà perché rappresenta un esempio delle buone relazioni allora esistenti tra stato e chiesa dopo la firma del Concordato.

<< Domenica prossima avremmo  la visita pastorale di S.E. il vescovo. Alle ore 11 ½ assisterà alla S. Messa che verrà celebrata in Duomo con l’intervento di tutte le autorità cittadine e, subito dopo, accoglierà in canonica le medesime per un omaggio di ossequio. Ricambierà la sua visita in Municipio appena vi saranno ritornate. Certo del vostro intervento, Vi anticipo, anche a nome di sua Eccellenza i suoi più sentiti ringraziamenti e con ogni ossequio. Devotissimo arciprete mons. Luigi Gnata >>.

Non abbiamo notizie ulteriori sulla visita del vescovo, probabilmente l’attenzione dei monselicensi era  concentrata sulle tragiche notizie provenienti dal fronte russo e africano.

 

Ebrei internati a  Monselice

E’ documentato che nei comuni di Piove di Sacco, Abano, Monselice, Mestrino e Montagnana furono internati (confinati) durante la guerra alcuni ebrei che hanno lasciato traccia del loro passaggio nei documenti conservati presso gli archivi storici comunali.

Dalla pubblicazione di Liliana Picciotto Il libro della memoria. Gli ebrei deportati in Italia (1943-1945) apprendiamo che a Monselice furono internate due ebree: Frieder Frieda e la figlia Bindefeld Clara. Frieda nacque a Przeworsk (Polonia) il 3 agosto 1893 e si sposò con Bindefeld Sigismondo. Della loro esistenza sappiamo solo che vissero a Milano e sicuramente furono internati a Monselice per alcuni mesi. Madre e figlia furono arrestate il 10 dicembre 1943 e trasferite prima Vo’ Euganeo e poi nel campo di sterminio di San Sabba; il 31 luglio 1944 partirono per Auschwitz dove morirono il 3 agosto 1944.

Dai documenti trovati in archivio possiamo ipotizzare la presenza momentanea di altri ebrei internati a Monselice. E’ sicura la presenza nella nostra città, il 7 febbraio 1942, della famiglia dell’ebreo croato Gluik Arturo, della moglie Stern Zlata, della suocera e di un loro figlio. Ricevettero dalle autorità padovane l’ordine di trasferirsi a Lozzo Atestino, ma chiesero, invece, di essere decentrati a Monselice per il bisogno di continue cure mediche che a Lozzo non avrebbero trovato.

Qualche giorno dopo l’ebreo polacco Mstowski e sua moglie, internati a Piove di Sacco, fecero domanda di essere trasferiti a Monselice ove ritenevano di trovare alloggio e condizioni di vita più dignitose. La stessa istanza di trasferimento fu presentata dall’ebreo tedesco Languas Ignazio di Nachmen, con moglie e due figli.

Anche la famiglia Mstowski chiese di trasferirsi a Monselice, ma in questo caso il podestà informò la questura che “Monselice fra i vari capoluoghi di mandamento è il meno indicato ad ospitare elementi indesiderabili essendo centro stradale e ferroviario di primaria importanza, attraverso i quali transitano spesso non solo importanti convogli bellici, ma anche personaggi della real casa e del governo”.

La presenza degli ebrei generò malumori ed invidie. Il questore inviò il 24 febbraio 1942 ai podestà dei comuni di Piove di Sacco, Abano, Monselice, Mestrino e Montagnana una dura nota nella quale criticò il comportamento dei confinati e degli internati:

<<alloggiati in alberghi, restavano fino a tarda sera nelle sale di mensa o di intrattenimento, conducendo tenore di vita da turisti; i predetti inoltre frequenterebbero esercizi pubblici senza alcuna limitazione di orario. Tale stato di cose ha avuto sfavorevoli ripercussioni nelle popolazioni delle località d’internamento>>.

 

I podestà furono quindi invitati a disporre:

 “rigorosi accertamenti in merito e ad impartire categoriche istruzioni perché fossero intensificate le misure di vigilanza nei confronti degli internati e dei confinati, ribadendo l’obbligo per essi di condurre un tenore di vita ritirato conforme al loro stato di sottoposti a provvedimenti di polizia; di non frequentare abitualmente esercizi pubblici o comunque di non trattenersi oltre il necessario, e di non provocare con il loro comportamento reclami da parte della popolazione del comune ospitante, con comminatoria, in caso di inottemperanza, di trasferimento in campi di concentramento od in colonie insulari. Ad evitare gli inconvenienti di cui sopra, è necessario che gl’internati ed i confinati, in linea di massima, alloggino in camere mobiliate e non in alberghi; qualora ciò non sia possibile per deficienza di alloggi, le autorità di P.S. dovranno esercitare una continua, efficace vigilanza perché gl’internati ed i confinati ottemperino rigorosamente alle prescrizioni di cui sopra”.

 

Stretto era il controllo anche sulla posta. Il 9 marzo la questura di Genova informò i podestà dei comuni di Piove di Sacco e di Monselice che erano pervenute in quella città otto lettere, non revisionate, dirette all’ebreo Delacem. Scontato il rimprovero ai podestà che non avevano controllato la posta in partenza.

Il 29 aprile il podestà di Monselice trasmise alla questura di Padova una lettera, scritta in tedesco e indirizzata all’ebreo polacco residente a Monselice Sigismondo Bindefeld. Il Mazzarolli precisò che “ la missiva non può venire revisionata – a Monselice – perché nessun dipendente conosce la lingua tedesca”. Evidentemente Sigismondo aveva raggiunto la moglie e la figlia internate a Monselice.

Una lettera inviata da Frieder Frieda nel mese d’agosto 1942 testimonia i contatti con altri ebrei confinati a Piove di Sacco. L’ebrea confinata a Monselice chiedeva di poter essere ospitata da una certa ebrea di nome Falosca residente a Piove di Sacco precisando che in quel comune avrebbe trovato migliori condizioni alimentari. Qualche giorno dopo il questore respinse la richiesta precisando che le motivazioni non erano credibili “tanto più che la famiglia amica può sussidiarla, se vuole, anche da lontano”.

Il 18 agosto 1943 l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane chiese al podestà di Monselice il permesso di consegnare ai propri fedeli “alcuni oggetti di culto per le prossime solennità ebraiche”, mentre il 1° settembre la delegazione che si dedicava all’assistenza degli ebrei confinati inviò un assegno circolare di 50 £., con preghiera di suddividerlo tra gli internati appartenenti alla religione ebraica che si trovavano a Monselice.

Dopo l’8 settembre 1943 si scatenò una vera e propria caccia agli ebrei, imposta dagli alleati tedeschi: circa 8.000 persone appartenenti alle comunità ebraiche italiane furono deportate nei lager nazisti e di queste soltanto 700 sopravvissero.

 

La ritirata dei soldati italiani dalla Russia

L’esercito italiano in Russia si estendeva lungo il Don per ben trecento chilometri, l’incredibile lunghezza dello schieramento, tra l’altro, impediva i rifornimenti e l’arrivo di nuove forze. Il 16 dicembre, dopo alcuni giorni di intensi bombardamenti di logoramento, i russi sferrarono l’attacco decisivo: il secondo corpo d’Armata italiano venne completamente annientato. Il 19 dicembre del 1942 venne dato alle truppe italiane in Russia l’ordine di ripiegare, ma la grande offensiva sovietica con una manovra a tenaglia, contrastata duramente dai nostri soldati, aggirò alle spalle il corpo d’armata alpino chiudendolo in una enorme sacca.

Nel durissimo inverno 1942-‘43 il corpo d’armata alpino si trovò in grandi difficoltà, ma alla fine riuscirono, malgrado numerose perdite, a fuggire dall’accerchiamento nella battaglia di Nikolajewka avvenuta il 26 gennaio 1943. Il 30 gennaio 1943 i sopravvissuti si raccolsero a Schebekino dove poterono finalmente riposare dopo 350 chilometri di marce estenuanti e dopo tredici battaglie. La campagna di Russia, per le truppe italiane, era finita. Ma circa 90.000 uomini (caduti o dispersi) non risposero più all’appello; altri 30.000 erano negli ospedali, feriti o assiderati. Gravissime in particolare le perdite delle divisioni alpine. Dei 57.000 alpini partiti per la Russia, ne ritornarono solo 11.000: tutti gli altri giacevano nella desolata steppa russa.

 

Note di fine anno

L’anno si concludeva con la comunicazione che nel 1942 erano nati a Monselice 431 bambini, mentre il numero dei morti ammontava 237. I matrimoni – riportano le statistiche – furono 75, di cui uno con rito non cattolico.

Ad aiutare i poveri monselicensi ci pensò, ancora una volta, il conte Cini, sollecitato dal sempre presente Mazzarolli. Ecco la nota intercorsa tra i due, imbevuta della solita retorica:

<< Con un inverno così crudo e rigido come questo una delle preoccupazioni maggiori della povera gente è quello d’aver legna da ardere in quantità sufficiente a combattere almeno in parte il freddo. La bontà dell’Eccellenza il senatore Vittorio Cini tolse ai più bisognosi di Monselice questa assillante preoccupazione. Da giorni veniva distribuita gratuitamente, agli iscritti negli elenchi dell’Ente Comunale d’assistenza, legna da ardere offerta dal senatore Cini: si tratta di ben mille quintali di roba. Ogni persona ne riceve venticinque chilogrammi; e quando quelli finivano ve n’era ancora. Abbiamo assistito ad alcune si tali distribuzioni che avvengono in una atmosfera di commossa gratitudine. Questi poveretti vedono trasformare lo stentato povero misero fuocherello del loro focolare in una allegra, ricca brillante fiamma; sentono all’atto di ricevere l’offerta come svanire il gelo che assidera le loro articolazioni e con la parola e le lacrime  …    benedicono il loro benefattore >>.


 

 

INDICE GENERALE DEI CAPITOLI CON LINK

Roberto Valandro, Introduzione  [ Clicca qui…]

I. Premessa. Monselice dal 1922 al 1937.  [ Clicca qui…]

II. Anno 1938. Dalla guerra di Spagna alle leggi razziali.    [ Clicca qui…]

III. Anno 1939. I grandi lavori promossi da Vittorio Cini.    [ Clicca qui…]

IV. Anno 1940. La visita del Duce a Monselice.    [ Clicca qui…]

V. Anno 1941. La protesta del Mazzarolli: tra pane e polenta.    [ Clicca qui…]

VI. Anno 1942. La rivolta delle donne.  [ Clicca qui…]

VII. Anno 1943. I tedeschi occupano Monselice   [ Clicca qui…]

VIII. Anno 1944. Formazione della resistenza armata    [ Clicca qui…]

IX. Anno 1945. La Liberazione di Monselice    [ Clicca qui…]

X. I processi del dopoguerra a Monselice : alla ricerca della verità     [ Clicca qui…]

XI. Ricordando la Shoah. Ida Brunelli, una monselicense tra i ‘Giusti’ d’Israele    [ Clicca qui…]

XII. I caduti monselicensi durante la seconda guerra mondiale. Ricordo e appartenenza per non dimenticare  [ Clicca qui…]

Vedi anche:

Soldati  monselicensi morti nei campi di concentramenti (IMI)       [ Clicca qui…]

Soldati di Monselice decorati al valor militare durante la 2° guerra mondiale  [ Clicca qui…]

 

 

 


© 2025 a cura di Flaviano Rossetto

Vedi anche:

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